Abstract
Il viaggio nella storia dell’identificazione personale prosegue ben lontano dalla vecchia Europa. Mentre a Parigi Bertillon gode dei frutti del suo successo e a Londra Scotland Yard s’impegna per la ricostruzione della propria credibilità, in Argentina Juan Vucetich, un intraprendente investigatore, sta conducendo alacremente le proprie ricerche sui metodi identificativi.
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Juan Vucetich (1858 – 1925)
Nato nell’isola di Hvar, in Dalmazia, Juan Vucetich emigra in Argentina nel 1884 con uno dei suoi 11 fratelli. Provvisto di un solo modesto bagaglio culturale, è però dotato di spirito arguto e curioso e di una spiccata attitudine per la matematica e la statistica.
Queste sue caratteristiche lo conducono ad entrare in polizia e, dopo solo qualche anno dal suo arrivo in Argentina, si trova a dirigere l’Ufficio Statistico della polizia di La Plata. Qui riesce ad avere disponibilità della “Revue Scientifique” e resta affascinato da un articolo di Francis Galton sulle impronte digitali.
Dal quel momento Vucetich si getta a capofitto nello studio delle impronte: studia i cadaveri del locale obitorio e così pure mummie antiche di secoli. Dall’analisi della sua ricca raccolta, Vucetich identifica i quattro tipi fondamentali del cosiddetto “delta di Galton”: assenza di triangoli, triangoli a sinistra, triangoli a destra, più triangoli.
Vucetich va oltre ed elabora un ingegnoso sistema di schedatura, ordinato per lettere e numeri, che gli consente di verificare, assai più agevolmente rispetto al complesso sistema congegnato da Bertillon, se un soggetto tratto in arresto risulti già segnalato negli schedari di polizia.
Ma anche gli studi di Vucetich, così come capitato a Bertillon, sono guardati con scetticismo da colleghi e superiori. Ed anche per lui tutto sembra destinato a rimanere un mero esercizio scientifico finchè non arriva “il caso” che cambia il corso della storia.
Il caso Rojas
A Necochea, un piccolo villaggio sulla costa dell’atlantico, il 29 giugno 1892 sono rinvenuti due cadaveri. Si tratta dei figli illegittimi di Francisca Rojas, una bella operaia di 27 anni: il piccolo Ponciano Carballo, di sei anni, e la sorellina Feliza, di soli quattro anni.
La Polizia di Necochea compila un rapporto secondo il quale, nella serata del 29 giugno, la donna corre fuori dalla propria casa e disperata si rifugia dai vicini gridando che qualcuno ha ucciso i suoi bambini. Ben presto la donna accusa del delitto Pedro Velasquez, un operaio che più volte l’ha chiesta in moglie, venendo sempre respinto. L’ultimo confronto fra i due – secondo i racconti della donna – sarebbe avvenuto proprio quel giorno e l’uomo avrebbe reagito furiosamente all’ennesimo rifiuto.
Su Velazquez si focalizzano le indagini e, senza che venga effettuata alcuna attività sul luogo del delitto, l’uomo è presto arrestato. Tuttavia, nonostante i modi brutali della polizia, per giorni l’uomo continua a proclamarsi innocente. Dichiara di amare Francisca e di averla minacciata per convincerla a sposarlo ma mai potrebbe fare del male ai bambini ai quali si è molto affezionato. Certi di avere in mano il colpevole, i poliziotti lo picchiano selvaggiamente e, una volta reso incosciente, lo trascinano sul luogo del delitto dove lo costringono a trascorrere una notte legato al letto nel quale i due bambini sono stati massacrati a colpi di pietra. Ma nonostante l’atrocità di questa prova, l’uomo continua a dirsi innocente.
L’ostinazione di Velasquez induce gli investigatori a cercare nuove piste. Apprendono così che Francisca ha un giovane amante, Josè Castellanos, anche lui pronto a sposarla purchè la donna si sbarazzi dei figli. L’attenzione di sposta così sulla madre ma non ci sono prove per incriminarla né lei mostra segni di cedimento di fronte alle forti pressioni degli inquirenti.
Le indagini segnano il passo e la polizia di Necochea è così costretta a rivolgersi al Quartier Generale di La Plata.
L’8 luglio giunge nel villaggio l’ispettore Alvarez. Dopo aver ben presto dimostrato che il povero Velazquez, e così pure il giovane Castellanos, sono entrambi provvisti di un valido alibi, l’ispettore decide di visitare il luogo del delitto.
Dopo un lungo ed attento esame della scena, Alvarez scopre la presenza, sullo stipite di una porta, di una macchia scura che risulta una impronta di sangue essiccato. Avendo bene a mente i metodi del collega Vucetich, Alvarez rimuove con una sega lo stipite della porta e corre in commissariato dove subito rileva le impronte di Francisca per il confronto. La comparazione scioglie ogni dubbio: si tratta dell’impronta del pollice destro della donna! Alvarez la mostra a Francisca che, difronte all’evidenza, confessa il delitto. La donna ha ucciso i propri figli per poter sposare l’amante: dopo aver colpito i bambini, ma prima di essersi lavata e di aver gettato la pietra nel pozzo, si poggia inavvertitamente sullo stipite della porta lasciando l’impronta insanguinata. La donna è condannata all’ergastolo.
Impronte digitali o antropometria?
Il delitto risolto grazie alle impronte digitali suscita molto scalpore ma Vucetich non può ancora cantare vittoria. Per quanto il successo del metodo sia stato innegabile, la possibilità di una sistemtica applicazione non convince ancora. Con il caso Rojas si apre coì un serrato confronto fra chi, come Vucetich, sostiene la superiorità delle impronte digitali ai fini dell’identificazione e chi gli contrappone la solidità del metodo antropometrico.
I successi di Vucetich proseguono: le identificazioni dattiloscopiche si fanno sempre più numerose ed alcune di queste raggiungono il successo anche in casi non risolti con il solo bertillonage. Sempre più convinto del proprio lavoro Vucetich si adopera per convincere i suoi superiori degli innegabili vantaggi offerti dal suo metodo rispetto a quello ben più complesso dell’antropometria ma senza successo.
Vucetich non si arrende e pubblica il libro “Introduzione generale al procedimento antropometrico e dattiloscopico” ma in cambio ottiene solo un formale divieto di proseguire le sue ricerche con l’obbligo di limitare il suo impegno alla sola applicazione delle rilevazioni antropometriche. La delusione di Vucetich è grande ed anche lui, così come già capitato a Bertillon, finisce per ammalarsi.
Fortunatamente nel 1894 l’indagine su un caso di grande risonanza – il caso Lozano – è risolta grazie all’identificazione dattiloscopica e per Vucetich è la svolta: dovrà attendere soltanto qualche tempo perché nel 1896 il metodo dattiloscopico venga ufficialmente adottato dalla polizia argentina al posto del bertillonage. A quel punto Vucetich è ormai famoso ed è chiamato a illustrare le sue idee e la sua esperienza in diversi congressi internazionali. L’effetto è travolgente e, dopo l’Argentina, fra il 1905 ed il 1908, molti altri paesi sudamericani adottano il metodo dattiloscopico abbandonando il bertillonage.
Dal quel momento la fantasia Vucetich non ha più freni e si fa largo fra le possibili, importanti applicazioni del suo sistema: immagina la registrazione delle impronte digitali di tutta la popolazione per consentire la soluzione dei crimini e per permettere l’identificazione di vittime di catastrofi o di individui sconosciuti. E va oltre vagheggiando la creazione di uffici intercontinentali che possano condividere le informazioni sui soggetti schedati.
E in tutto questo Vucetich certo non può immaginare che le sue idee avrebbero davvero rappresentato il futuro dell’investigazione, ma non per mano sua.
Di questo vi diremo nella prossima puntata.
Per chi desiderasse conoscere meglio la storia di questo straordinario investigatore argentino suggeriamo il testo di Frank Smyth dal titolo “Sulle tracce dell’assassino. Storia dell’investigazione scientifica”.
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Leggi anche: I personaggi ed i casi che hanno fatto la storia dell’identificazione personale (Parte II): Herschel, Faulds, Galton e lo studio delle impronte digitali