Abstract – Va di moda la iatroclastia (distruzione del medico). Non che nelle epoche passate le cose fossero molto diverse. Ma rileggendo Petrarca ed Erasmo da Rotterdam, sono proprio le loro invettive contro i medici da cui emergono quali degli stessi dovrebbero essere le qualità. Qualità che rimangono tutt’oggi inalterate sia sotto il profilo etico che professionale. Una riflessione dal nostro Davide Santovito a medici, giuristi e pazienti.
. . . .
Ci arrovelliamo ormai da anni sulla responsabilità professionale medica e alcune tappe sono emblematiche e non possono essere dimenticate:
- 1990 sentenza della Corte di Assise di Firenze in materia di omicidio preterintenzionale e consenso informato;
- 1999 la Cassazione civile sancisce il rapporto contrattuale per “contatto sociale”;
- 2001 la Cassazione penale ritorna sul consenso informato e sull’agire del medico in caso di dissenso informato;
- 2002 la Cassazione penale a sezioni unite sancisce il ragionamento controfattuale;
- 2008 le sentenze di San Martino “uno”;
- 2019 le 10 sentenze di San Martino “due”.
Ognuna di queste sentenze/ordinanze ha tracciato un solco profondo nella pratica e nella dottrina del diritto e della medicina legale, in virtù del fatto che al centro del giudizio vi è l’operato del medico e quanto il fare del medico, generalmente inteso, si discosta dal buon fare del medico preparato.
Però, se approcciamo la nostra professione da un’altra angolazione, che non è quella della mera prestazione sanitaria tecnica, disveliamo un mondo fatto di rapporti umani a cui auspicava già la letteratura passata, rifiutando il paternalismo medico tipico di chi, unico detentore del sapere, lo dispensa dall’alto e lo manifesta con termini per i quali la conoscenza è un privilegio a lui riservato.
Le invettive del Petrarca contro i medici
Francesco Petrarca può essere ritenuto un antesignano dei nostri tempi, oserei scrivere anticipatore di quella legge sul consenso informato, che valorizza la relazione di cura e di fiducia tra curato e curante.
Il Poeta di Arezzo, infatti, tra il 1355 ed il 1357 ha raccolto alcune sue epistole in due opere indirizzate a “procaci et insano medico”, note come “Invectiva contra quendam magni status hominem sed nullius scientiae aut virtutis” e “Invective contra medicum”. Tralasciando le discussioni dottrinarie dei letterati in merito al titolo delle due opere, un punto rimane comune ai due scritti: l’invettiva. Essi nascono, infatti, in risposta ad un medico che curò il Papa Clemente VI, a cui il poeta scrisse invitandolo a rivolgersi ad un solo dottore di fiducia, suscitando così la risposta del curante papale.
Petrarca, però, non si scaglia contro tutti i medici indistintamente come oggigiorno facilmente accade ma, rispondendo al dottore del Papa, solo contro quei medici che sono inetti (rudes) ed arroganti (procaces).
La critica in questi casi è tagliente e così il medico viene giudicato privo di conoscenza e di virtù e vuoto di quelle qualità che dovrebbero caratterizzare la sua professione. Ecco, di conseguenza, che l’invettiva del poeta si fa iatroclastica contro quel medico che maschera con l’eloquenza delle parole la propria incapacità a curare, tanto che chi guarisce deve la vita al proprio medico e a chi non guarisce nulla è dovuto, salvo l’esperienza che: la morte è colpa della natura o del malato, la vita è un dono tuo (medico), soprattutto quando non di parole ci sarebbe bisogno, ma di fatti dopo aver promesso il bene della salute. Non sono perdonati i lunghi e complicati discorsi del dottore al paziente che celano i suoi difetti e la sua ignoranza della medicina.
Nelle Invective, le parole di Petrarca smantellano l’impunità di chi dopo aver ucciso chiede anche la parcella (si minus, interfice, et pretium posce, cun occideris).
Come deve essere il buon medico. Ce lo dice Erasmo da Rotterdam.
L’attacco del Petrarca non è quindi rivolto alla Medicina ma a quei medici che con i loro errori ne coprono la gloria. Tanto che a causa degli errori commessi è necessario al medico un difensore e a qualcun altro un consolatore.
Con più leggerezza, ma non senza incisività, Erasmo da Rotterdam nel 1509 scrivendo “L’Elogio della Follia”, fa dire dalla Follia chi è il buon medico.
Sì, perché è proprio la Follia, nata da Pluto dio della ricchezza e dalla ninfa Neotete, ad ammettere che tra le arti le più apprezzate sono quelle che si accostano al senso comune, mentre le cognizioni scientifiche non soltanto non contribuiscono a quella felicità per condurre alla quale si dice siano sorte, ma, al contrario, addirittura la ostacolano.
Ma tra tali arti, per la Follia l’unica che si salva è la medicina, tanto che il medico vale da solo quanto molti uomini presi insieme. Tuttavia, anche in questa professione la fama migliore la godono, parole della Follia, i più ignoranti, i più audaci e i più incoscienti. Infatti, la Follia dice senza mezze parole, che l’esercizio oggigiorno (1509 a.d.) della medicina non è che un ramo dell’adulazione e va a braccetto con l’arte dell’eloquenza. Per quanto, il primo posto possa spettare agli avvocati (ma questa è un’altra storia).
È quindi ironica la sferzata che la Follia muove verso la nostra professione, ma non certo priva di fondamento.
Queste iperboliche riflessioni consento però di tracciare nel corso del tempo un filo conduttore nell’esercizio della medicina.
E oggi, in fondo, non è diverso
Allora, come oggi, il buon medico deve possedere conoscenza e virtù ed essere abile, capace, prudente e morigerato.
Si lo so che appaiono parole assai lontane dal tecnicismo clinico e dottrinario nonché dalla terminologia giuridica, ma se rileggiamo tutte le sentenze, tra le righe, ritroviamo la ricerca delle medesime qualità che la grande letteratura del passato attribuiva al buon medico, pena una visione iatroclastica del nostro mondo professionale.
Per chi vuole approfondire cito di seguito le fonti che mi hanno permesso di stilare queste brevi riflessioni:
- Bausi Francesco. “Francesco Petrarca. Invective contra medicum. Invectiva contra quendam magni status homined sed nullius scientiae aut virtutis.”. Casa Editrice Le Lettere, Firenze, 2005.
- Erasmo da Rotterdam. Elogio della Follia. Mursia ed., 1994. A cura di Nicola Petruzzellis.
VUOI APPROFONDIRE QUESTO ARGOMENTO?
Leggi anche: Eubiosia: fino all’ultimo “buona vita”