Abstract
Nella serie dedicata alla rilettura della vita di alcuni grandi compositori alla luce delle drammatiche vicende cliniche che segnarono la loro esistenza, proponiamo oggi un articolo redatto con la collaborazione del dott. Antonio Montinaro, neurochirurgo, dedicato a Maurice Ravel e a George Gershwin. Entrambi i compositori furono infatti affetti da una grave patologia cerebrale che fu oggetto di intervento neurochirugico.
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Maurice Ravel
Maurice Ravel nasce nella città basca di Ciboure il 7 marzo 1875 in una famiglia amante della musica e venne ammesso alla più importante scuola di musica francese, il Conservatorio di Parigi. Dopo aver lasciato il Conservatorio, Ravel trovò la sua strada come compositore, sviluppando uno stile del tutto personale, che incorporava elementi di modernismo, barocco, neoclassicismo e, nelle sue opere successive, di jazz.
Nel 1899 la pubblicazione della stupenda pagina per pianoforte Pavane pour une infante défunte, poi orchestrata dallo stesso autore nel 1910, decretò la sua notorietà.
Quando la Germania invase la Francia nel 1914, Ravel tentò di entrare nell’Aeronautica francese. Considerava la sua piccola statura e il suo peso leggero ideali per un aviatore, ma fu respinto a causa dell’età e di un lieve disturbo cardiaco. Riuscì infine ad arruolarsi nel Tredicesimo reggimento di artiglieria come camionista nel marzo del 1915.
La sua serenità venne presto turbata dalle gravi condizioni di salute della madre, cui era fortemente legato. Anche la sua salute peggiorava; soffriva infatti di insonnia e problemi digestivi; venne anche sottoposto ad un intervento addominale in seguito alla dissenteria amebica nel settembre del 1916.
La madre di Ravel morì nel gennaio del 1917 ed egli cadde in quella che egli stesso definì “una orribile disperazione“. Dopo la guerra le persone vicine a Ravel cominciarono a notare che egli aveva perso gran parte della sua resistenza fisica e mentale. Come afferma il musicologo Stephen Zank, “l’equilibrio emotivo di Ravel, così duramente piegato nel decennio precedente, era stato seriamente compromesso”.
La salute di Ravel comincia a vacillare già nel 1929, con frequenti episodi di disorientamento ed errori di scrittura. Il quadro clinico peggiora decisamente dopo un incidente stradale dell’ottobre del 1932, in cui riporta un trauma cranico con numerose ferite lacero-contuse facciali e la frattura di tre costole. Rimane ricoverato in ospedale per alcune settimane. Alla dimissione vivrà per un lungo periodo in completo isolamento.
Del novembre 1933 è la sua ultima performance pubblica parigina con il Bolero ed il Concerto in sol.
In questo periodo egli si esprime ancora correttamente, ma fa fatica a comporre come testimonia egli stesso: ‘‘J’ai tant de music dans ma tete, mais je n’arrive pas a la mettre sur le papier’’ (ho tanta musica nella mia testa, ma non arrivo a metterla su carta). Non è in grado quindi di trasferire sui pentagrammi le note che assembla nel suo cervello.
La patologia di cui era affetto Ravel rientra probabilmente nell’ambito di una degenerazione cortico-basale. La diagnosi neuropatologica è squisitamente speculativa in assenza di un riscontro post-mortem.
Egli verrà affidato negli anni 1933-35 alle cure di uno dei più grandi neurologi della storia: Théophile Alajouanine. Il medico trascrisse accurati report da cui emerse come il musicista fosse in grado, fra l’altro, di fare lunghissime passeggiate senza mai perdere l’orientamento e pertanto escluse la presenza del morbo di Alzheimer, sospettato in precedenza.
Le condizioni del musicista peggiorano ancora e Ida Rubinstein, sua grande amica, paventando la presenza di un tumore al cervello, lo accompagna a consulto dai più celebri neurochirurghi dell’epoca.
Thierry de Martel, che operava a Zurigo, esclude la presenza di una neoplasia e quindi la necessità di un intervento chirurgico. A Parigi un altro pioniere della neurochirurgia, Clovis Vincent, decide di effettuare una ventricolografia. L’esame documentò una dilatazione del sistema ventricolare, che venne interpretata come una forma iniziale di idrocefalo. È mercoledì 17 dicembre 1937.
Lo stato di Ravel si aggrava; egli non è più in grado di comunicare. Clovis Vincent, sospettando la presenza di una ipertensione endocranica ingravescente, decide di operarlo ed il 19 dicembre esegue una craniotomia frontale destra. Ma una volta aperta la dura madre, il cervello appare deteso e le circonvoluzioni si presentano normali. Introduce un piccolo catetere nel ventricolo e il liquor fuoriesce senza pressione. Conclude la procedura senza chiudere la dura, probabilmente a scopo decompressivo (inutile precauzione in assenza di una ipertensione endocranica).
Ravel muore il 28 dicembre, 11 giorni dopo l’intervento. Causa probabile del decesso, la formazione di un ematoma sottodurale acuto sviluppatosi nei giorni successivi l’intervento e causato dalla stessa procedura chirurgica.
Non venne eseguita l’autopsia. L’intervento neurochirurgico si rivelò pertanto completamente inutile e responsabile della morte.
Maurice Ravel “Pavane pour en enfat défunte”, Orchestra national de France, Direttore Dalia Stasevska
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George Gershwin
George Gershwin nasce a Brooklyn il 26 settembre 1898 da genitori emigrati ebrei di origine ucraina e lituana. Considerato l’iniziatore del musical statunitense, la sua opera spazia dalla musica colta al jazz. La Rapsodia in blu (1924), Un americano a Parigi (1928) e l’opera Porgy and Bess (1935) sono le sue composizioni più note.
Nel gennaio del ’36 il musicista comincia a manifestare un mutamento di carattere, diviene irritabile, depresso e presenta spesso allucinazioni olfattorie ed episodi di intensa cefalea.
Vengono consultati molti medici, che, in assenza di deficit neurologici obiettivabili, propendono per una diagnosi di natura psichiatrica. È in questo periodo che Gershwin esprime la sua angoscia con una frase identica a quella pronunciata da Ravel: ‘‘I had more tunes in my head, than I could ever put on paper’’; coincidenza suggestiva che accomuna i destini dei due compositori.
L’11 febbraio del ’37, mentre si esibisce con la Los Angeles Symphony, sul set di The Goldwyn Follies, Gershwin presenta una crisi epilettica con perdita di coscienza. Al risveglio accusa una violenta cefalea e presenta una discreta incoordinazione motoria.
Viene ricoverato presso l’Ospedale ‘‘Cedri del Libano’’ di Los Angeles. Gli esami effettuati risultano tutti nella norma e pertanto viene dimesso con diagnosi di ‘‘isteria’’ e col consiglio di instaurare un trattamento psicoanalitico! Gershwin accetta. Ma il quadro neurologico continua a peggiorare.
Il primo contatto con la neurochirurgia si ha dopo quasi un anno dalla comparsa dei primi sintomi.
La mattina del 9 luglio del 1937 Gershwin suona il pianoforte per l’ultima volta. Nel pomeriggio avverte la necessità di riposare e si assopisce per alcune ore. Al risveglio presenta una violenta crisi epilettica generalizzata.
Viene trasportato d’urgenza in ospedale. È in stato di coma. Presenta un’emiparesi sinistra ed una iniziale anisocoria. L’esame del fundus oculi evidenzia un papilledema con emorragia retinica.
Viene immediatamente contattato al telefono il più celebre neurochirurgo statunitense, Harvey Cushing, che si vede costretto a rifiutare l’invito perché si è ritirato dal lavoro e consiglia di consultare Walter Dandy, del Johns Hopkins Hospital di Baltimora, uno dei suoi migliori allievi, che però in quel momento è in crociera su uno yacht al largo di Boston. Dandy viene raggiunto dalla guardia costiera e scortato fino al più vicino aeroporto, dove un aereo dell’American Airlines lo conduce a Los Angeles.
All’arrivo discute il caso con il neurochirurgo locale, il dr. Howard Naffziger, e insieme decidono di intervenire chirurgicamente. Eseguono però prima una ventricolografia, per evidenziare la sede della neoplasia. Le immagini documentano un enorme effetto massa con completa occlusione del corno temporale destro.
Dandy esegue una craniotomia temporale destra: la dura madre appare tesissima. Alla sua apertura, il cervello si presenta notevolmente edematoso. Si reperta una grossa cisti tumorale, che viene aspirata. La neoplasia viene quindi gradualmente rimossa.
L’intervento non produce gli effetti sperati. Gershwin non si sveglierà e morirà l’11 luglio del 1937 alle 10.30.
Ai solenni funerali, tenutisi il 15 luglio 1937 presso la sinagoga di New York, partecipò una folla di oltre 4500 persone. Annunciando la morte alla radio, lo speaker commentò: ‘‘The man who had more notes in his head than he could write down in a hundred years died suddenly today in Hollywood’’ (l’uomo che aveva nella sua testa più note di quante ne avrebbe potuto scrivere in un centinaio d’anni è morto improvvisamente a Hollywood).
Nonostante la progressione della malattia, la produttività di Gershwin rimase prodigiosa fino agli ultimi mesi, grazie all’integrità dell’emisfero cerebrale di sinistra. Alcuni sostengono che Gershwin avesse un glioblastoma multiforme. Il risultato istologico fu però di uno spongioblastoma polare cistico, neoplasia relativamente benigna, a lenta crescita, più frequente nei giovani e con prognosi relativamente favorevole.
I medici che tennero in cura Gershwin compirono una miriade di errori. Sia Ravel che Gershwin sono stati in definitiva vittime di un importante ritardo diagnostico e di un fallimento neurochirurgico. La loro morte è seguita ad un intervento craniotomico, inutile e devastante per Ravel, fuori tempo massimo per Gershwin.
Da neurochirurgo mi sento di aggiungere, a discapito degli errori commessi dai più eminenti neurochirurghi dell’epoca, che nel 1937 la scarsa e rudimentale diagnostica disponibile non consentiva una diagnosi corretta e precoce.
George Gerwshin: Rhapsody in Blue, Orchestre National de Lyon Leonard Slatkin (Conductor) Khatia Buniatishvili (Piano)
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