Introduzione
Un tema quanto mai attuale sia sul fronte giurisprudenziale che su quello dibattito politico in merito alla riforma della Legge Gelli Bianco: la definizione del concetto di “colpa grave” in ambito di responsabilità medica. Un contributo del Dott. Luca Vallega.
La proposta di Legge
È di pochi mesi fa la presentazione di una proposta di legge[i] che mira ad introdurre una cornice edittale specifica per il reato connesso alle condotte colpose commesse nell’esercizio della professione sanitaria.
L’intento, si legge nel documento, è quello di creare una norma che regolamenti in maniera indipendente i reati contestabili ad un professionista sanitario, in linea con quanto immaginato in precedenza sempre dal legislatore all’epoca dell’emanazione della Legge 24/2017 (cd. Gelli).
Inutile dire che la proposta riflette il fronte di protesta crescente del mondo medico, che, forse in un’ottica anche eccessivamente garantista, vorrebbe addirittura ottenere la depenalizzazione del reato sanitario, creando, di fatto, una figura ibrida nel nostro sistema giuridico e sociale, per quanto in linea con altri paesi europei (dove, tuttavia, il regime di tutela nei confronti della collettività segue logiche e presupposti del tutto differenti da quelli previsti nella nostra costituzione).
Senza entrare nel merito della fattibilità di tale intento (che non compete al sottoscritto), soprattutto in ottica costituzionale, appare invece opportuno riflettere sull’evidente tentativo di restringere in un’ottica sempre più garantista il perimetro di valutazione della colpa medica, che viene categorizzata secondo un’aggettivazione specifica.
Un primo traguardo è stato raggiunto con la Legge n. 76 del 28/05/2021 (che ha convertito il precedente Decreto Legge n. 44 del 01/04/2021, recante misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), che ha introdotto un esimente specifica per i fatti commessi di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, per i quali è stata prevista una responsabilità penale nei soli casi di colpa grave. E, sul concetto di colpa grave, si fonda anche la proposta di legge di cui si discute, che all’Art. 1 prevede la modifica dell’Art. 590-sexies del Codice penale, introducendo la seguente disposizione: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. La determinazione del grado della colpa è definita dai parametri di cui all’articolo 2236 del Codice civile”. Richiamando, di fatto, un concetto già in precedenza introdotto (e poi in seguito modificato) dalla Legge n. 189 del 08/11/2012 (cd. Legge “Balduzzi”).
Non è dato sapere se nel prossimo futuro la proposta verrà convertita in legge, creando una nuova disciplina di valutazione in tema di responsabilità penale del professionista sanitario, ma, a parere dello scrivente, si rende quantomai opportuno riflettere fin d’ora all’interno della comunità medico-legale per approfondire il tema della colpa grave. Questo perché, se non direttamente chiamati a pronunciarci sul profilo colposo imputabile ad un professionista sanitario, potremmo essere coinvolti, in qualità di consulenti tecnici, a fornire gli strumenti necessari per qualificarne la gravità.
Il punto di vista della Cassazione Penale
Non solo.
A prescindere dall’introduzione di un nuovo disposto normativo penale, il contributo medico-legale alla valutazione del profilo di colpa grave è un elemento già oggi di primaria importanza, visto il costante incremento dei casi di responsabilità professionale che passano al vaglio della magistratura contabile, una volta azionata l’azione di rivalsa in ipotesi di danno erariale per esborso di denaro pubblico nell’ambito della gestione dei sinistri di una qualsiasi azienda sanitaria.
Alcune riflessioni in tema di colpa grave possono, invero, già essere espresse, traendo spunto dai vari contributi reperibili in dottrina e giurisprudenza.
Partendo da quest’ultima, sebbene sia a livello penale che a livello civile la Cassazione si sia espressa più volte per fornire un inquadramento generale definitorio del concetto di colpa grave, e benché la norma ex art. 2236 sia prevista proprio nel Codice civile, il perimetro di valutazione più specifico viene fornito dalla Corte dei conti, che fonda proprio su questo presupposto la responsabilità amministrativa del dipendente pubblico.
La colpa grave va riconosciuta, secondo Cassazione penale, nel
“rimprovero personale che fonda la colpa personalizzata, spostata cioè sul versante squisitamente soggettivo, richiede di ponderare le difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi; di considerare che le condotte che si esaminano non sono accadute in un laboratorio sotto una campana di vetro e vanno quindi analizzate tenendo conto del contesto in cui si sono manifestate. Vanno quindi apprezzate e ‘misurate’ le contingenze in cui si sia in presenza di difficoltà o novità tecnico-scientifiche; e (…) le contingenze nelle quali il medico si trova a operare in emergenza e quindi in quella situazione intossicata dall’impellenza che, solitamente, rende quasi sempre difficili anche le cose facili”[ii].
Si può ragionevolmente parlare di colpa grave
“solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento, quando cioè il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente; e quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e abbia determinato, anzi, la negativa evoluzione della patologia”[iii].
Il punto di vista della Cassazione Civile
Più generica, ma al contempo anche specifica nel definire i parametri generali cui riferirsi per qualificarla, la Cassazione civile inquadra la colpa grave entro un perimetro in cui si configura una “violazione del grado minimo di diligenza”[iv], un “difetto della normale prudenza”[v], ovvero un intervento “senza aver adoperato la normale diligenza”[vi]. Senza, peraltro, che l’art. 2236 fornisca particolari spunti per salvaguardare l’attività medica (e su questo occorrerebbe riflettere fin da subito, qualora si decidesse – come sembra desumersi dalla proposta di legge sopra citata – di ancorare al suddetto articolo la valutazione del profilo di colpa grave), visto che, come noto, questo si rifà solo ai casi di imperizia inquadrabili come “eccezionali”[vii] e quindi non trova spazio nella valutazione delle comuni procedure diagnostico-terapeutiche.
E la Corte dei Conti?
Come detto, però, è la Corte dei conti che, più di tutti, si esprime frequentemente sulla colpa grave, analizzando le singole fattispecie in cui si configura la “mancanza di un livello minimo di diligenza, prudenza o perizia avuto riguardo al tipo di attività svolta e alla preparazione professionale del pubblico dipendente, ovvero alle specifiche circostanze relative al caso concreto in cui si è realizzata la condotta”[viii] e ritenendo che “non basta che il comportamento sia stato riprovevole in quanto non rispondente perfettamente alle regole della scienza e dell’esperienza, ma è necessario che il medico, usando la dovuta diligenza, abbia potuto prevedere e prevenire l’evento verificatosi…si deve accertare che si siano verificati errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione ovvero il difetto di quel minimo di perizia tecnica che non deve non mai mancare in chi esercita la professione sanitaria e, comunque, ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari affidati alle cure di prestatori d’opera”[ix].
Fin qui tutto abbastanza chiaro, se non fosse che si tratta di definizioni di carattere generale, che trovano poco spazio qualora si voglia individuare gli strumenti necessari per caratterizzare uno specifico comportamento colposo come grave.
In pochi hanno finora approfondito il tema e, in particolare, come nei processi (in particolare, quelli contabili) si giunga a riconoscere particolarmente grave un errore commesso da un professionista sanitario. Sia concesso, in tal senso, citare i contributi su riviste di settore e monografie di alcuni colleghi[x] [xi] e anche del sottoscritto[xii], all’interno dei quali si è proceduto ad analizzare le singole sentenze, al fine di comprendere a posteriori gli strumenti utilizzati dalla Corte per esprimere un giudizio di colpa grave.
Ebbene, dall’analisi delle varie sentenze si ha l’impressione che, per quanto nota l’autonomia di giudizio della magistratura nell’accertamento dell’elemento soggettivo all’interno di un processo contabile, nella maggior parte dei casi, la colpa grave sia riconosciuta sulla base delle sole relazioni tecniche definite negli altri procedimenti (si ricorda che il giudizio contabile viene solitamente promosso solo al termine delle vertenze penali e, soprattutto, civili, poiché da esse discende il presunto danno erariale). Laddove siano espressi giudizi di negligenza o di imprudenza, la magistratura contabile desume automaticamente la sussistenza di un profilo di colpa grave, riservando l’ipotesi dell’esimente specifica della colpa lieve (per insussistenza di colpa grave) nei soli casi di imperizia.
La colpa omissiva come parametro di giudizio della Corte dei Conti
Ma vi è di più!
Si comprende, approfondendo gli specifici casi clinici valutati all’interno delle sentenze, che ad un giudizio di negligenza e di imprudenza spesso si giunge partendo dal considerare un comportamento omissivo. In pratica: un medico che non ha posto in essere un comportamento o un’azione specifica per assistere un paziente viene giudicato negligente o imprudente, mentre l’ipotesi di imperizia è riservata si soli casi di errore commissivo (per cui è previsto un comportamento attivo). Questi ragionamenti, come detto, spesso si traducono in un giudizio di colpa grave (anche solo contestata dalla Procura contabile).
Due riflessioni necessarie
E allora sorgono spontanee due riflessioni.
La prima è relativa all’effettiva portata difensiva di una norma generale che introduce in campo penale l’esimente specifica della colpa lieve (o, per meglio dire, la sola responsabilità per colpa grave).
Posto che ad oggi la maggior parte delle ipotesi di errore medico attengono alla sfera dell’omissione (diagnostica, terapeutica, di precauzioni, etc.) più che della commissione (lesioni iatrogene), il rischio è che nella maggior parte dei casi si continui a perseguire il singolo professionista sanitario, ipotizzando che nel suo comportamento riprovevole negligente o imprudente possa celarsi un profilo di colpa grave.
E questo è ancor più probabile in tutti quei casi dove la difesa tecnica tenti di enfatizzare il tema della condotta alternativa lecita (ipotizzabile nel solo campo della colpa per omissione), al fine di valorizzare i dubbi sull’insussistenza di un nesso causale penalmente rilevante.
La seconda è di carattere più interpretativo e si propone come stimolo per un approfondimento sul tema all’interno della comunità medico-legale.
Può un’omissione essere correlata ad imperizia o si tratta sempre di negligenza e imprudenza?
Personalmente, non posso che sperare in un dialogo proficuo, che potrà prendere spunto dalla definizione dottrinaria di colpa generica, desunta “sulla base delle fonti delle regole cautelari che sono di natura sociale e che derivano da massime di esperienza attraverso un giudizio prognostico sulla pericolosità dell’attività e sui mezzi necessari per evitare i danni”. Ad essa vanno ricondotte le tre fattispecie che normalmente vengono utilizzate per valutare il comportamento di un professionista sanitario, sulla cui definizione occorre soffermarsi:
- Negligenza: quando si viola una regola di condotta che richiede un’attività positiva.
- Imprudenza: quando si viola una regola cautelare di non tenere una certa condotta o di tenerla con modalità diverse.
- Imperizia: in relazione ad attività che richiedono cognizioni tecniche per cui si tratta di imprudenza e negligenza qualificate.
Sulla definizione di imperizia occorre soffermarsi e chiedersi se ad essa possa essere ricondotto un comportamento omissivo; perché, se così fosse (e, a parere del sottoscritto, così dovrebbe essere), allora potrebbero immaginarsi numerosi casi di omissione per imperizia con grado di colpa lieve (e conseguente riduzione significativa dei casi contestabili sul piano penale).
Cosa può concretamente offrire un consulente tecnico medico-legale in un simile contesto?
Il suo ruolo diventa fondamentale, per tradurre i concetti espressi dallo specialista associato (al quale non potrà in alcun modo essere demandata la valutazione sul giudizio di negligenza, imprudenza o imperizia) in chiave giuridica, fornendo al singolo committente (Giudice, Pubblico Ministero o altre parti) gli strumenti necessari per qualificare la tipologia e il grado di colpa professionale.
A quali strumenti fare riferimento?
Individuata la regola cautelare, il quantum di esigibilità dell’osservanza della regola specifica costituisce un fattore assai importante[xiii], così come il grado elevato di prevedibilità, apprezzabile sul piano oggettivo della colpevolezza (ovverosia la valutazione del grado di rimproverabilità del soggetto)[xiv].
Per una più facile comprensione di quest’ultimo passaggio si propongono due casi a confronto che ben chiariscono i concetti sopra esplicati.
Si pensi al caso della garza dimenticata in addome (Gossypiboma), che costituisce l’esempio scolastico per definire un’ipotesi di colpa grave. Perché il Gossypiboma è riconducibile ad un errore commesso con colpa grave? Perché da tempo sono condivise a livello ministeriale[xv] specifiche azioni atte ad evitare con certezza la possibilità che questo evento possa concretizzarsi e il suo semplice verificarsi induce automaticamente a configurare un’ipotesi di colpa grave, che difficilmente potrà essere sconfessata (salvo ipotesi di evento non altrimenti evitabile).
Lo stesso ragionamento non può applicarsi in un altro caso assai più complesso, il parto eutocico complicato da distocia con successivo danno ipossico cerebrale. O meglio, nel caso in cui questo si verifichi, non può in automatico essere espresso un giudizio di colpa grave, poiché vi sono diversi fattori da considerare e poiché non vi è un chiaro profilo di condotta astratta da seguire ab origine in grado di evitare l’evento fatale, soprattutto se sono state rispettate le linee guida e le buone pratiche. Occorrerà, quindi, approfondire con attenzione tutte le possibili variabili per fornire un dato tecnico affidabile che possa tornare utile, in caso di criticità, per esprimere un giudizio di colpa lieve o grave.
In conclusione, non è dato sapere se la norma, così come proposta, possa, forse nel tempo, influire favorevolmente sull’andamento e sull’esito dei processi, ma difficilmente potrà portare ad una netta riduzione dei procedimenti penali, vero obiettivo cui aspira l’intero comparto sanitario.
In ogni caso, però, sarà fondamentale il ruolo del medico legale, chiamato ad esprimere il proprio parere tecnico con un’attenzione particolare al possibile riflesso giuridico penale, civile e amministrativo-contabile.
In questo senso, si richiama ancora una volta la necessità di aprire un dibattito sul tema, coinvolgendo eventualmente anche il mondo giuridico, per definire un metodo generale e comune al quale tutta la comunità medico-legale possa riferirsi per rispondere in modo esaustivo alle richieste che, via via, saranno sempre più tecniche e circostanziate.
Riferimenti giurisprudenziali e di letteratura
[i] Camera dei deputati, n.1327 del 24/07/2023
[ii] Cass. pen., sez. IV, 1 febbraio 2012, n. 4391
[iii] Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 2013, n. 16237
[iv] Cass. civ., Sez. Un., 20 aprile 2018, n. 9912
[v] Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2017, n. 26521
[vi] Cass. civ., sez. VI, 3 aprile 2018, n. 8064
[vii] Cass. civ. 16 novembre 2020, n. 25876
[viii] Corte dei conti, sezione giurisdizionale Sicilia, sentenza n. 471 del 2010
[ix] Corte dei conti, sezione giurisdizionale Emilia-Romagna, sentenza n. 1 del 2013
[x] Santovito D, Bosco C. Analisi delle sentenze della Corte dei conti – Sezione giurisdizionale – Regione Piemonte. Analisi di processo per prevenire il rischio di soccombenza. Rivista Italiana di Medicina Legale (e del diritto nel campo sanitario). Volume 4/2022: 923-935
[xi] Crotti PG, Grazioso S, Petraglia L, Torchia VM. La responsabilità sanitaria nella giurisprudenza contabile. Ed. Giuffré 2018
[xii] Iadecola A, Macrì E, Vallega L, Ventura F. La responsabilità sanitaria tra giudice civile e corte dei conti: un’analisi dei casi concreti. Rivista Italiana di Medicina Legale (e del diritto nel campo sanitario). Volume 4/2020: 1773-1800
[xiii] Corte di Cassazione – sez. IV pen. – sent. 16237/2013
[xiv] D. Castronuovo, La colpa penale, Milano, 2009, pp348 ss
[xv] Ministero della Salute. Raccomandazione per prevenire la ritenzione di garze, strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico. Marzo 2008