Abstract
“Il vero danno, nella perdita del rapporto parentale, è la sofferenza non la relazione. È il dolore, non la vita, che cambia se la vita è destinata, sì, a cambiare, ma, in qualche modo, sopravvivendo a sé stessi nel mondo“. Questa è la conclusione di una recente sentenza della Cassazione Civile che aggiunge un nuovo tassello nell’ormai sempre più variegato panorama delle decisioni della Suprema Corte in tema di danno non patrimoniale.
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L’amico di SIMLA Avv. Ettore Gorini del foro di Bari, ci segnala questa ordinanza della 3° Sezione Civile della Cassazione (la numero 26301, pubblicata il 29 settembre 2021 – Presidente ed estensore Travaglino) e ci propone una sua rapida sintesi delle decisioni degli Ermellini.
Così conclude l’ordinanza n. 26301, pubblicata il 29 settembre 2021 (3^ sezione, relatore Travaglino) affrontando il tema del risarcimento dovuto in caso di perdita del feto morto alla 31^ settimana di gestazione per fatto imputabile ai sanitari che non avevano eseguito prontamente il taglio cesareo che, con elevata probabilità, avrebbe evitato la sofferenza fetale e la morte.
Il Tribunale di Verbania aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per la “perdita del frutto del concepimento”, quindi, applicati i parametri di cui alle tabelle del Tribunale di Milano, operate “opportune decurtazioni” sul presupposto che le stesse facessero riferimento alla ipotesi di un figlio nato vivo.
Di qui il riconoscimento del risarcimento in favore della madre per euro 120.000,00, al padre euro 100.000,00 ed al fratello euro 30.000,00
La sentenza di primo grado era stata confermata in appello.
Il collegio di legittimità ha accolto l’impugnazione non condividendo la riduttiva ed impropria qualificazione fatta dalla corte del danno da “perdita del frutto del concepimento” affermando che la morte del feto produce un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale, trovando la tutela del concepito fondamento costituzionale, così come stabilito dall’articolo 2 della Costituzione e chiarito dalla Corte Costituzionale (n. 27/1975) secondo cui tale norma riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali, appunto, deve collocarsi, sia pure con le caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito.
Secondo la Corte, accertato il diritto dei componenti il consorzio familiare a far valere la pretesa risarcitoria – che trova fondamento negli articoli 2043 e 2059 cod. civ., in relazione agli articoli 2, 29 e 30 della Costituzione nonché nell’articolo 117 comma 1 Cost, atteso l’articolo 8 CEDU che attribuisce rilievo al diritto alla protezione della vita privata e familiare – il pregiudizio rileva nella duplice e non sovrapponibile dimensione morfologica della sofferenza interiore eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, ulteriore e diversa, che eventualmente si sia riflessa in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che la ha subita.
Dunque, in tema di danno da perdita del rapporto parentale va valorizzata appieno l’aspetto della sofferenza interiore patita dai genitori, poiché la sofferenza morale, allegata e poi provata anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l’aspetto più significato del danno.
Il Collegio, poi, afferma la sussistenza di una radicale differenza tra il danno per la perdita del rapporto parentale e quello per la sua compromissione dovuta a macrolesione del congiunto rimasto in vita, posto che in questo ultimo caso è la vita di relazione a subire modificazioni peggiorative.
Detta distinzione determina la necessità di differenziare da un punto di vista qualitativo/quantitativo il risarcimento, conformemente alle più recenti teorie psicologiche sulla elaborazione del lutto che, superando quelle originarie, sostengono che sia “una idea fallace la cosiddetta elaborazione del lutto, poiché che camminiamo nel mondo sempre circondati dalle assenza che hanno segnato la nostra vita e che continuano ad essere presenti tra noi, il dolore del lutto non ci libera da queste assenza, ma ci permette di continuare a vivere e di resistere alla tentazione di scomparire insieme a ciò che abbiamo perduto”.
Una nuova visione, quindi, che apre un nuovo dibattito in cui, anche in ambito di danno da perdita parentale, la sofferenza interiore diventa il fulcro dell’entità risarcitoria.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’ordinanza.
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