Abstract – Proseguiamo con il racconto delle ore frenetiche che seguirono il ferimento di John Fitzgerald Kennedy il 22 novembre 1963 soffermandoci sul ruolo svolto dai medici che intervennero in un disperato tentativo rianimatorio e dei patologi chiamati a stabilire la dinamica del fatto.
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25 minuti al Parkland Hospital
Tra il ferimento e l’arrivo al Parkland Memorial Hospital di Dallas passano solo pochi minuti. Un lasso temporale brevissimo ma sufficiente perché il personale sanitario sia pronto ad accogliere e soccorrere il Presidente.
Senza alcuna esitazione viene messo in atto un estremo tentativo di rianimazione che dura appena 25 minuti (JAMA 1992).
Il primo medico a vedere il corpo ferito di Kennedy è un chirurgo, il dott. Jim Carrico, che osserva la presenza di: “… a small bubbling wound in the front of the neck…”. Carrico è subito raggiunto da altri chirurghi, il dott. Charles Baxter e il dott. Malcom Perry. Li accompagna il dott. M.T. Pepper Jenkins, capo degli anestesisti, che si fa carico del supporto ventilatorio.
È Perry a realizzare la tracheostomia, incidendo il collo proprio in corrispondenza della lesione da arma da fuoco. Così il chirurgo ricorda quegli istanti nell’intervista rilasciata a JAMA: “… the president was in agonal respiration, with is chin jerking. Jim Carrico was having trouble inserting endotracheal tube because of the wound to the trachea and I didn’t wipe off the blood before doing the “trach”. I grabbed a knife and made a quick and large incision; it only took two or three minutes”.
Il momento è drammatico e non c’è tempo per descrivere e misurare le lesioni, per fare foto o per ragionare sulla direzione con cui i proiettili hanno attraversato il corpo nè, evidentemente, se è il caso di eseguire la tracheostomia in modo da non alterare la ferita esistente.
“Everyone in that room was trying to save a life, not figure out forensics”.
Di questo sono convinti i medici del Parkland Hospital ancora molti decenni da quel 22 novembre 1963.
L’ultimo ad intervenire è il dott. William Kemp Clark, neurochirurgo, e sue sono le parole con le quali svanisce ogni speranza: “… it’s too late, Mac. There’s nothing more to be done”. È il dott. Clark a dichiarare deceduto il Presidente John Fitzgerald Kennedy alle ore 13:00 del 22 novembre 1963.
Da quel momento il controllo della scena passa dai medici ai Servizi Segreti.
Gli agenti sorvegliano i brevi istanti concessi ad un prete cattolico per benedire la salma, alla moglie Jackie per un ultimo saluto e ai sanitari per staccare gli elettrodi, togliere l’accesso venoso e estrarre il tubo endotracheale. Quindi afferrarono la barella e si dirigono a tutta velocità verso l’uscita, superando senza esitazione l’ufficio del Dallas Medical Examiner, il dott. Earl Rose.
Il dott. Rose è però fra i tanti in attesa nel corridoio del Parkland Memorial Hospital e non esita a giocare la dura partita che lo attende, faccia a faccia con l’Agente Kellerman, incaricato di trasferire il corpo del Presidente sull’Air Force One nel più breve tempo possibile.
Inutile dire chi ha la meglio. L’amarezza del dott. Rose per l’esito di quella vicenda è ancora palpabile nell’intervista rilasciata a JAMA nel 1992 “… the law was broken. And is very disquieting to me to sacrifice the law as it exists for any individual, including the President. Having one set of rules for rich and famous and another for the poor is antithetical to justice.There have been many arguments to try to justify the removal of the body but to me they all seem like retrospective and self-serving theories…”.
I tanti anni trascorsi da quel momento hanno rafforzato le già granitiche certezze di Rose secondo il quale, se fosse stata fatta a Dallas, l’autopsia “…would have been free of any perceptions of outside influences to compromise the results. After all, if Oswald had lived, his trial would have been held in Texas and a Texas autopsy would have assured a tight chain of custody on all the evidence. In Dallas we had access to the President’s clothing and to the medical team who had treated him, and these are very important considerations…”.
Rose conclude affermando che lo spostamento del cadavere di Kennedy è stato il primo passo verso il dubbio: “…Silence and concealement are the mother’s milk of conspiracy theories”.
L’autopsia a Bethesda
Intanto a molti chilometri di distanza da Dallas qualcun altro è stato allertato ed è in attesa del feretro presidenziale. È il dott. Humes, patologo del Naval Medical Center a Bethesda. Sono le 5:15 pm quando riceve la chiamata dell’ammiraglio Kenney che lo informa del compito che lo aspetta aggiungendo: “Jim, you better hurry over to the hospital”.
“My orders were to find the cause of death” racconta Humes “and I was told to get anyone I thought necessary to help to the autopsy but to limit it to only helpI needed” (JAMA 1992).
Per coadiuvarlo sceglie il collega della Marina, il dott Thornton Boswell e, insieme, decidono di richiedere il supporto del dott. Philippe Finck, patologo della sezione di Patologia Balistica delle Forze Armate.
VEDIAMO CHI SONO
James Humes (1925 – 1999)
Nato a Philadelfia, Humes si diploma alla St. Joseph’s Preparatory School e frequenta la St. Joseph’s University e la Villanova University, entrambe in Pennsylvania. Si arruola in Marina e si laurea in medicina al Jefferson Medical College di Philadelphia. Nel 1960 è nominato Chief of Pathology della Medical Naval School e dal 1961 è promosso direttore dei laboratori della Marina, con sede presso l’Ospedale Navale di Bethesda. Si ritira dalla Marina con il grado di capitano nel 1967. Nel corso degli anni sarà poi presidente dell’American Society of Clinical Pathologists, del College of American Pathology e dell’Association of Clinical Scientists.
Thornton Boswell (1922 -2010)
Thornton Boswell studia presso il College of Medicine dell’Ohio State University. Si arruola nella Marina degli Stati Uniti prima di seguire il corso di patologia presso il St. Albans Naval Hospital di New York. Ottiene l’abilitazione dall’American Board of Pathology presso la National Naval Medical School nel 1957.
Pierre Antoine Finck (1923-2018)
Studia alla Scuola di Medicina dell’Università di Ginevra. Dopo la laurea, nel 1948, trascorre due anni presso l’Istituto di Patologia di Ginevra prima di trasferirsi negli Stati Uniti, dove prosegue gli studi presso la University of Tennessee Medical School. Nel 1955 Finck è arruolato nell’esercito degli Stati Uniti. Inviato in Germania, diviene patologo presso l’ospedale dell’esercito americano di Francoforte. Nel 1959 Finck è inviato all’Istituto di Patologia delle Forze Armate di Washington. L’anno successivo è nominato capo della sezione di patologia balistica dell’Istituto.
In altre parole tutti e tre sono patologi militari. Nessuno dei tre ha specifiche competenze forensi.
L’autopsia
I tre patologi svolgono il compito loro assegnato coadiuvati dal personale tecnico: due marines con il ruolo di tecnici autoptici, tre radiologi e due fotografi. Tutti lavorano sotto gli occhi di molte persone interessate al risultato dell’autopsia: “… there were FBI and Secret Service people milling about the room. And at one point, there was an unauthorized Navy Corpsman taking photos in the morgue and the FBI quite properly seized and destroyed that film, since the photographer did not have credentials. However the official photos taken by John Stringer wee never touched and no one to the FBI even had a camera, let alone the intention to take any autopsy photos …”.
Fra gli spettatori è presente anche il dott. Burkley, medico personale del Presidente Kennedy, il solo che abbia presenziato sia alla fase di cura al Parkland Memorial Hospital che alla fase autoptica a Bethesda. A lui vengono attribuiti gli appunti riportati nell'”autopsy descriptive sheet” che dal 1963 rappresenta la sola rappresentazione grafica dell’autopsia presidenziale in circolazione, ma si tratta di un’attribuzione controversa e non ufficialmente accreditata.
Il solo documento ufficiale che descrive l’attività svolta durante le operazioni autoptiche è il report sottoscritto dai 3 patologi e l’allegato di Hume con l’ispezione dell’encefalo eseguita dopo l’avvenuta fissazione in formalina dell’organo. Riportiamo di seguito il testo ufficiale, reperto 387 della Commissione Warren.
Documento ufficiale dell’autopsia
È invece sicuramente del dott. Burkley la firma sul certificato di morte del Presidente Kennedy.
In sintesi i patologi e con loro il medico personale di JFK non hanno dubbi: il Presidente è stato ferito da 2 colpi di arma da fuoco che lo hanno attinto da dietro, uno al collo ed uno al cranio.
Dunque apparentemente tutto torna: i colpi d’arma da fuoco percepiti sono 3, uno ha colpito il marciapiede e due hanno ferito il Presidente; 3 i bossoli rinvenuti vicino alla finestra.
Ma, come tutti ben sanno, la vicenda non si è risolta così facilmente. Per diversi testimoni i colpi sparati sono ben più di 3 e l’ipotesi che i punti di sparo siano stati più di uno, addirittura con traiettorie diametralmente opposte, prende ben presto piede. Da questo momento le teorie sulla dinamica del ferimento di JFK e sui possibili responsabili sono argomento per le ipotesi più disparate e fantasiose che ancora oggi trovano ciascuna numerosi sostenitori.
Nulla possiamo dire sugli aspetti investigativi o politici che certamente hanno avuto un peso considerevole nel rendere particolarmente intricata la lettura dei fatti ma, dal punto di vista medico legale e senza per adesso entrare nel merito delle risultanze autoptiche, ci sono diversi fatti che hanno contribuito a rendere complesso un quadro già di per sè non facile da interpretare.
In particolare:
- Non è acquisita alcuna immagine delle lesioni prima dell’intervento dei chirurghi.
- Il chirurgo incide la trachea proprio in corrispondenza della ferita cutanea da arma da fuoco.
- Il cadavere è trasferito in una sede lontana dal luogo del decesso con interruzione della catena di custodia.
- Gli abiti del Presidente rimangono in ospedale e non sono posti nella disponibilità dei patologi al momento dell’autopsia.
- Per l’autopsia vengono scelti patologi privi di specifiche competenze forense.
Si tratta di condotte che per i non esperti possono rappresentare semplici peculiarità del caso legate alla particolare importanza dell’illustrissima vittima. Per chi si occupa di Medicina Legale si tratta invece di criticità operative estremamente gravi che renderebbero difficile e controversa la gestione di un qualsiasi omicidio, contribuendo ad alimentare il mistero anche la dove non ce n’è. Figurarsi poi se la vittima è il 35° Presidente degli Stati Uniti d’America!
La possibilità di disporre di immagini di ferite che poi siano oggetto di intervento sanitario, il risparmio delle lesioni eteroinferte durante prestazione delle cure, specie di quelle di prima emergenza, la necessità di mantenere l’integrità del cadavere, ivi compresi i suoi indumenti, nonchè la rilevanza di un’accurata conservazione di tutte le fonti di prova mediante una solida catena di custodia, rappresentano da sempre i capisaldi della corretta gestione delle vittime di violenza che, in accordo con il dott. Rose, erano validi anche per il Presidente degli Stati Uniti.
Quanto alle competenze dei patologi incaricati va da se che “militare” non può essere inteso come sinonimo di “forense“….
To be continued…
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