Abstract
Tempi della Giustizia e contenzioso in ambito di responsabilità professionale: Ma davvero il sistema non è in grado di procedere più celermente di fronte a situazioni cliniche che sembrano evidenti. Se lo domanda proponendoci questo “caso” il nostro Davide Santovito.
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La sentenza n. 27/2023 del 02/05/2023 emessa dalla Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per la Regione Veneto nei confronti di un chirurgo narra una “storia” che, a tratti, possiamo definire ai confini della realtà.
La vicenda
Il fatto, accaduto il 18/02/2012, riguarda una anziana paziente di 82 anni che, affetta da fibrillazione atriale in terapia con warfarin, accede in pronto soccorso per “episodio influenzale con vomito, senza febbre, inappetenza, episodio ripetuto in stato confusionale”. Così si legge nel testo della sentenza.
Durante la degenza è variato il dosaggio dell’anticoagulante rispetto a quello cronico usualmente assunto al domicilio. Alle dimissioni, la prescrizione del warfarin è nuovamente mutata rispetto alla dose assunta prima del ricovero e così accade nei controlli ambulatoriali successivi.
La paziente sviluppa un ematoma epidurale cervico-dorsale in data 07/03/2012 e, a seguito dell’allettamento e di episodi di ab ingestis, decede in data 20/06/2012.
Il caso sfocia in una richiesta risarcitoria prima extragiudiziale del gennaio 2013 e poi giudiziale del novembre 2014 mediante ATP ex 696 bis c.p.c.
La CTU eseguita nel corso dell’ATP ha visto accolte le richieste risarcitorie e l’ASL ha quindi soddisfatto la richiesta risarcitoria degli eredi ad ottobre 2016.
Alla luce di tanto, la Procura regionale depositava atto di citazione a maggio 2022 individuando nella prestazione sanitaria erogata dal chirurgo il nesso causale con il danno erariale indiretto, imputando la presenza soggettiva della colpa grave.
La sentenza della Corte dei Conti si dipana per 21 pagine e conclude riconoscendo la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa grave ed il nesso causale tra la condotta del chirurgo ed il danno erariale indiretto, applicando tuttavia una riduzione del 10% sulle somme richieste dalla Procura in virtù del potere di riduzione, individuando la genesi del danno erariale anche in condotta di altri soggetti non citati in causa.
Con beneficio d’inventario ma qualche commento è d’obbligo
Prendiamo, sempre, con beneficio di inventario tutta la vicenda clinica, extragiudiziaria e giudiziaria civile, in quanto dalla sentenza citata non si possono ricavare tutte le informazioni necessarie per una attenta riflessione. Tuttavia, ci sono elementi che fanno sorgere perplessità.
Il primo è rappresentato dalla contumacia del medico chiamato a dedurre. La motivazione di tale posizione processuale non emerge, ma sicurante il non approntare una difesa del proprio operato non è certamente una scelta razionale, soprattutto per far valere davanti alla Corte le eventuali difficoltà o prospettazioni alternative o far valere maggiormente il potere riduttivo della Corte.
Difatti la Corte, al pari della Procura, trae elementi di giudizio dalle relazioni disponibili tra cui: la relazione di CTU nel corso dell’ATP, i pareri formulati da parte dell’Azienda Ospedaliera e le conclusioni del Nucleo Aziendale di Valutazione dei Sinistri.
Il secondo aspetto riguarda la storia del risarcimento correlato alla vicenda clinica, che si può ricostruire dai dati contenuti nella sentenza.
Emerge che la paziente, con assunzione domiciliare di ¼ di compressa al giorno ed ½ al quindi giorno, fu sottoposta, durante il ricovero, ad una somministrazione di ½ di compressa il primo giorno, un quarto il secondo ed il terzo, nulla il quarto, il quinto e il sesto ed ½ compressa l’ultimo giorno di ricovero. La paziente fu dimessa con ½ compressa al giorno ed un valore di INR pari a 3,64.
Al controllo ambulatoriale del 28 febbraio, tre giorni dopo le dimissioni, la paziente registrava un valore di INR pari a 5,17 ed il chirurgo prescriveva 1 compressa di warfarin al giorno.
Al controllo del 2 marzo il valore di INR raggiunse 11,29 e la terapia era così modificata: ½ compressa al giorno, un giorno sì ed un giorno no.
Ora, non vi è medico laureato che ben comprenda come già un valore a 3,64 sia sovradosato per la gestione di una FA in una donna di 82 anni, ma ancora più evidente è il fatto che un valore di 5,17 avrebbe richiesto la sospensione dell’assunzione del warfarin.
Evidentissimo è il fatto che la terapia anticoagulante avrebbe dovuto essere sospesa, come rimarca la sentenza, il 2 marzo con INR pari a 11,29.
La sentenza evidenzia come sia del tutto acclarato il nesso causale tra l’emorragia epidurale cervico-dorsale e il valore di 11,29 di INR ed il seguente decesso della paziente a distanza di qualche mese.
Se prendiamo per “buono” questo fatto clinico-storico e le circostanze dello stesso riportate in sentenza, ciò che deve far riflettere è la seguente successione temporale:
- decesso della paziente del 20.06.2012;
- richiesta risarcitoria del 03.01.2013;
- ricorso ex 696 bis c.p.c del 30.09.2014;
- nomina del difensore dell’ASL in data 03.12.2014;
- deposito definitivo CTU del 15.05.2015;
- pagamento del risarcimento del 21.09.2016.
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Lasciando al lettore la lettura integrale della sentenza, in cui è discusso il nesso causale e la colpa grave, e consapevoli del fatto che non si è a conoscenza di tutti i passaggi procedurali extragiudiziali e le problematiche ad essi connessi, una domanda sorge spontanea dalle risultanze della sentenza: ma in un caso simile era necessaria una CTU e più di tre anni per soddisfare la richiesta risarcitoria?
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza
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