Abstract
Nell’ambito dell’iniziativa dedicata alla Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne abbiamo intervistato la Dott.ssa Marilinda Mineccia, magistrato di grande esperienza e Presidente della Associazione di Studi e Ricerche di Psicologia Giuridica.
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Marilinda Mineccia, magistrato, è stata a Torino il primo Giudice Istruttore donna, funzioni che ha ricoperto per dieci anni dal 1979 al 1989, quindi Giudice delle Indagini Preliminari, sempre presso il Tribunale di Torino. Successivamente, oltre ad altri incarichi, ha svolto per circa dodici anni le funzioni di Procuratore della Repubblica di Aosta e, per circa quattro anni, sino al 2020, quelle di Procuratore della Repubblica di Novara. È Presidente, sin dal 1985, dell’Associazione di Studi e Ricerche di Psicologia Giuridica, associazione non a scopo di lucro, cui la Regione Piemonte nel 1989 ha riconosciuto la personalità giuridica privata.
INTERVISTA
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Nell’ambito della prevenzione e della lotta contro la violenza di genere, quali sono a Suo Parere gli aspetti dell’azione investigativo/giudiziaria che richiedono particolare impegno ed attenzione per un efficace contrasto ai crimini che si correlano a questa fattispecie delittuosa?
Innanzi tutto, saper cogliere quando anche un episodio di apparente scarsa gravità, come il riscontro di lesioni lievi, o comunque perseguibili a querela di parte, sia sintomatico dell’esistenza di situazioni molto gravi e pericolose per l’integrità fisica o psichica della vittima. Quest’ultima, infatti, può manifestare un comportamento poco collaborativo, e persino di rifiuto o chiusura, non solo per paura di subire danni fisici ancora maggiori, di essere privata dei figli, di essere lasciata senza alcun sostegno economico, ovvero per valutazioni negative di tipo sociale all’interno del proprio gruppo di riferimento, ma anche a causa della forte dipendenza psicologica dalla persona cui è legata affettivamente, situazione che ricorre molto più spesso di quanto non si immagini e che diventa assorbente rispetto a tutte le altre motivazioni.
Certamente è necessario distinguere tra violenza in famiglia con costante prevaricazione di una persona sull’altra (reato di maltrattamenti), o comunque comportamenti illeciti meno gravi, ma sempre di competenza del diritto penale, e relazioni conflittuali di coppia, di competenza del diritto civile. Tuttavia, l’aspetto più delicato è proprio quello dinamico, di come queste situazioni possano evolvere, ed è essenziale cogliere gli indici di pericolosità perché, ad esempio, una situazione di gelosia patologica può trasformarsi in omicidio e questa valutazione dei rischi, in presenza della commissione di un reato per cui esistono gravi indizi di colpevolezza, o sono state raccolte prove certe, va fatta anche in relazione alle misure cautelari da adottare. Si pensi ai casi in cui la scelta del solo divieto di avvicinamento alla parte offesa, ovvero la misura degli arresti domiciliari, anziché quella della misura cautelare in carcere, non hanno impedito, ovvero hanno persino incentivato, gravissime azioni contro la vittima.
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Quali strumenti ritiene siano necessari per la concreta realizzazione di una azione giudiziaria che contemperi opportunamente l’accertamento del reato e la tutela della vittima?
Oggi, per la tutela delle vittime di violenza, sia sul piano assistenziale e preventivo, sia in ordine all’accertamento di questa tipologia di reati, disponiamo di moltissimi e validi strumenti, come la legge n.119/2013 (c.d. legge sul femminicidio), il d.lgs. /2015 di attuazione della direttiva europea 2012/29/UE, la legge 19 luglio 2019 n. 69 (c.d. Codice Rosso), e disponiamo altresì di presidi tecnici, come le videoregistrazioni, le aule di audizione protetta per le vittime vulnerabili (della cui realizzazione presso entrambe le Procure di Aosta e di Novara mi sono, tra l’altro, personalmente occupata), ma la corretta assunzione e verbalizzazione delle dichiarazioni della persona offesa, ossia l’ascolto attento e rispettoso della stessa, la verifica dei riscontri probatori (che devono sempre essere raccolti con grande accuratezza), l’osservanza di alcune importanti modalità di conduzione del colloquio, rimane la più importante “tecnica di indagine” o, se si vuole, uno degli aspetti fondamentali per la comprensione reale dei fatti, dalla quale soltanto può scaturire la scelta dei più adeguati strumenti processuali, compresi quelli per la tutela della vittima.
La ricerca serena e attenta della verità è essenziale non solo per il processo penale, posto che l’indagato ha diritto a veder riconosciuta la propria innocenza se non è colpevole, ma anche per i protagonisti della relazione interpersonale, per promuovere, in ciascuno dei due, consapevolezza, presa di coscienza, crescita sul piano umano e cambiamento costruttivo, scopi che sono essenziali nell’ambito della giustizia riparativa.
Anche il comportamento responsabile della vittima ha un ruolo di fondamentale importanza. Si pensi alle frequenti ritrattazioni nel prosieguo del processo penale ed anche, talora, alle denunce strumentali.
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In che modo gli operatori chiamati a vario titolo a gestire casi giudiziari tanto complessi e delicati, possono acquisire le competenze necessarie?
È necessario uno studio approfondito della propria materia, ma anche la conoscenza per ciascun operatore di alcuni elementi essenziali delle altre discipline che concorrono alla specializzazione in questo settore, prima fra tutte la psicologia, con particolare riferimento allo sviluppo della capacità di auto osservazione, dell’abilità di ascolto e di comprensione nella relazione interpersonale.
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In questa prospettiva quale ritiene debba essere il contributo della medicina legale?
Il medico legale svolge un ruolo essenziale, in fase investigativa per evidenziare la possibile sussistenza di reati e se ripetuti (si pensi alle lesioni in diversi stadi di guarigione presentati da una donna che in pronto soccorso afferma di essere caduta dalle scale), in fase istruttoria e decisionale, per far comprendere al pubblico ministero e al giudice quali dichiarazioni siano attendibili, nonché la dinamica dei fatti di reato, che va ricostruita tenendo conto di tutti gli altri elementi raccolti nel fascicolo processuale.
A conclusione dell’intervista la dott.ssa Mineccia ci parla del progetto 2022/2023 della Associazione di Studi e Ricerche di Psicologia Giuridica, da Lei presieduta, dal titolo “Contrasto alla violenza di genere e giustizia riparativa: una sfida possibile?” finanziato da Regione Piemonte con legge Regionale (art.13 L.R. 6/2022).
Il progetto, che inizierà a gennaio 2023, ” …si articolerà in diversi incontri sia a Torino che a Novara, di cui, in entrambe le città, due sul tema del contrasto alla violenza di genere – mettendone in evidenza gli aspetti giuridici, con illustrazione degli elementi offerti dalla attuale legislazione e gli aspetti psicologici necessariamente implicati nell’ascolto delle vittime e nelle azioni di sostegno di queste ultime e talora degli stessi indagati – due sul tema della “giustizia riparativa”, come possibilità offerta non solo ai minori, ma anche agli adulti – mettendo in evidenza gli aspetti giuridici, ossia per quali reati e a quali condizioni sia possibile usufruirne nell’ambito di un procedimento penale, in base alla recente Legge Cartabia che concretizza nel nostro ordinamento giuridico la dichiarazione di Venezia del Consiglio di Europa del 13 e 14 dicembre 2021, e gli aspetti psicologici che i mediatori penali devono necessariamente acquisire – . Inoltre quattro incontri saranno dedicati al tema dell’ascolto e della comunicazione nell’ambito della relazione interpersonale, comprensivo della capacità di saper esprimere in modo corretto e costruttivo il proprio punto di vista anche attraverso seminari di approfondimento. Infine, sono previsti quattro ulteriori incontri di riflessione ed elaborazione delle esperienze personali e di gruppo dei partecipanti, per costruire insieme il programma di un Convegno finale, sempre in entrambe le città, nel quale verrà data risposta al quesito iniziale”.
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