Abstract
In questo caldissimo luglio vorremmo tutti essere in riva al mare o sulla sponda di un lago… Ma se all’improvviso comparisse un cadavere tra i flutti saremmo in grado di leggerne correttamente l’epoca della morte? A differenza degli ambienti terresti, nei quali i processi tafonomici sono stati nel tempo studiati e accuratamente descritti, la decomposizione in acqua è influenzata da numerosissime variabili, alcune delle quali non ancora completamente indagate.
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Intervallo di sommersione post-mortale – Post-Mortem Submersion Interval (PMSI)
In realtà, in ambiente acquatico l’intervallo post-mortale (PMI) è più correttamente definito come intervallo di sommersione post-mortale – post-mortem submersion interval, PMSI (Henssge and Madea 2007; Saukko and Knight 2004), cioè il periodo di tempo tra l’ingresso del corpo in acqua e il suo rinvenimento.
La stima del PMSI pone notevoli difficoltà a causa della grande variabilità delle condizioni ambientali cui può essere esposto un corpo immerso in un liquido.
Le modalità e la velocità dei processi trasformativi, infatti, dipendono sia dalle caratteristiche del mezzo liquido (che può essere rappresentato da mari, laghi, fiumi, piscine, ciascuno con la propria composizione chimica, ph, temperatura, tumultuosità, fauna acquatica, inquinanti) che dalle condizioni del cadavere (Stuart BH, Ueland M. Decomposition in Aquatic Environments. In: Taphonomy of Human Remains: Forensic Analysis of the Dead and the Depositional Environment, First Edition. Edited by Eline M.J. Schotsmans, Nicholas Márquez-Grant and Shari L. Forbes. 2017 JohnWiley & Sons Ltd).
Inoltre, a differenza di quanto avviene per la determinazione del PMI dei cadaveri rinvenuti in ambiente terreste, nella maggior parte dei casi lo studio dell’entomofauna in ambiente acquatico non è dirimente. Ciò a causa dell’assenza di insetti selettivamente sarcofagi in acqua e, in secondo luogo, dell’impossibilità di stabilire con precisione un modello di successione cronologica delle ondate di ditteri in ambiente liquido in considerazione dell’incostanza di tale fenomeno.
Il rinvenimento di insetti sul corpo è quindi di frequente indicativo esclusivamente del fatto che il cadavere è stato esposto all’aria ambiente per un tempo abbastanza lungo da permettere ai ditteri di colonizzarlo: la loro presenza indica perciò che la morte è avvenuta in ambiente terrestre prima della sommersione del cadavere oppure che il cadavere è riemerso da un tempo congruo perché gli insetti lo trovassero (Merritt, R.W. andWallace, J.R. (2010) The role of aquatic insects in forensic investigations. In: Byrd, J.H. and Castner, J.L. (eds), Forensic Entomology: The utility of arthropods in legal investigations. CRC Press: Boca Raton, pp. 271–319.).
Stadi di decomposizione in acqua
I primi studi sul processo di decomposizione in ambiente acquatico risalgono agli anni ’70 e sono il risultato di modelli animali, che hanno consentito la definizione – inizialmente – di 6 stadi putrefattivi (Payne J and King EW. Insect succession and decomposition of pig carcasses in water. The Journal of the Georgia Entomological Society 1972;7:153-162), che furono poi ridotti a 5 (Haefner JN et al. Pig decomposition in lotic aquatic systems: the potential use of algal growth in establishing a postmortem submersion interval (PMSI). J Forensic Sci. 2004;49(2):330-336):
Stadi della decomposizione (modificata da Haefner et al. 2004) | Reperti salienti |
1) fresh submerged | Cadavere fresco; resti sommersi |
2) early floating | Cadavere enfisematoso; resti galleggianti sulla superficie |
3) early floating decay | Iniziale decomposizione; alterazione dei tessuti molli |
4) advanced floating decay | Avanzata decomposizione; esposizione scheletrica |
5) sunken remains | Affondamento dei resti; completa scheletrizzazione |
Metodi semi-quantitativi
Sono stati esperiti negli anni alcuni tentativi di formulare sistemi semi-quantitativi di assegnazione di punteggi ai diversi stadi di decomposizione (decompositional scoring systems, DSSs) anche per i cadaveri rinvenuti in ambienti aquatici (tra gli altri: Heaton V et al. Predicting the postmortem submersion interval for human remains recovered from U.K. waterways. J Forensic Sci. 2010;55(2):302-307; Introna F et al. Migrant deaths and the Kater Radez I wreck: from recovery of the relict to marine taphonomic findings and identification of the victims. Int J Legal Med. 2013;127(4):871-879; De Donno A et al. Bodies in sequestered and non-sequestered aquatic environments: a comparative taphonomic study using decompositional scoring system. Sci Justice. 2014;54(6):439-446).
Per fare ciò, il corpo è generalmente diviso in 3 regioni (testa, tronco e arti) per integrare le differenti velocità di decomposizione dei vari distretti. Per ciascuna regione anatomica è valutata (de visu o tramite immagine fotografica) la severità delle alterazioni post-mortali e questa è collocata in una “fascia” cui corrisponde un punteggio e – di conseguenza – un range di PMSI, come descritto di volta in volta nello specifico lavoro di Letteratura cui si decide di fare riferimento.
Alcuni Autori hanno proposto l’uso degli accumulated degree days (ADDs), vale a dire la somma della temperatura giornaliera media cui il cadavere è stato esposto, in combinazione con la quantificazione del total aquatic decomposition score (TADS), un sistema semi-quantitativo con il quale si calcola la somma dei punteggi assegnati ai 3 distretti anatomici sulla base del grado di decomposizione (Heaton et al. 2010).
Con l’utilizzo di una equazione di regressione (di facile applicazione! NdA) che correla ADD e TADS, e conoscendo la temperatura media giornaliera, è quindi possibile stimare il PMSI.
É necessario, tuttavia, affidarsi con cautela a questo approccio, poiché è noto che una serie di variabili, il cui peso è difficilmente ponderabile, possono falsare il risultato (Alfsdotter C and Petaros A. Outdoor human decomposition in Sweden: A retrospective quantitative study of forensic-taphonomic changes and postmortem interval in terrestrial and aquatic settings. J Forensic Sci. 2021;66:1348–1363).
Per esempio, la formazione dell’adipocera può ritardare o inibire la comparsa dei processi trasformativi, determinando un certo grado di inaffidabilità del modello (De Donno et al. 2014).
O ancora, l’attività degli animali marini può al contrario accelerare il processo decompositivo per consumo dei tessuti molli e depezzamento.
Lo scavenging da parte di pesci, artropodi e molluschi è stato descritto come un processo generalmente trifasico (Anderson, G.S., Hobischak, N.R. Decomposition of carrion in the marine environment in British Columbia, Canada. Int J Legal Med 2004;118:206–209): inizialmente si verifica la rimozione della maggior parte dei tessuti molli da parte di una grande varietà di vertebrati ed invertebrati; nella seconda fase intervengono i crostacei e i policheti, che colonizzano le ossa; infine i microorganismi anaerobi si nutrono dei resti scheletrici. Quest’ultima fase può durare decadi, mentre le prime 2 fasi possono protrarsi per mesi o anni.
Cadaveri rinvenuti in acqua “dolce”
La maggior parte degli Studi sul PMSI hanno come oggetto cadaveri rinvenuti in acqua “salata”, in considerazione del fatto che si tratta dell’evenienza più comune e pertanto la casistica marittima è maggiore.
Pochi Autori hanno avuto modo di concentrarsi esclusivamente su corpi immersi in acque fluviali o lacustri.
Tra questi, si segnalano:
Mentre esistono già evidenze pubblicate circa l’influenza di singoli fattori sulla decomposizione in acqua, ulteriori Studi gioverebbero alla comprensione di come la somma globale dei parametri ambientali e faunistici possa essere ponderata al fine di stimare correttamente nella pratica l’epoca della morte. A tal fine, sarebbe auspicabile lo sviluppo di metodi quantitativi, per quanto la complessità di interazione delle differenti variabili renda questa sfida tra le più ardue in ambito forense.
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