Riceviamo e pubblichiamo un intervento del prof. Gianaristide Norelli (Emerito di Medicina Legale dell’Università di Firenze) sul tema dell’indennizzabilità di un infortunio “causato” da Covid 19 in ambito di polizza privata.

Merita ancora ritornare sulla questione annosa della possibilità o meno di ammettere all’indennizzo una infezione, nell’ambito della assicurazione privata contro gli infortuni, evocata da una sentenza della Corte d’Appello di Torino, commentata da Enzo Ronchi sul sito della SIMLA e su cui si è successivamente pronunciata la Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez.III, 06.02.2025 n.3016).
Come Ronchi anche il sottoscritto, non può non sentirsi chiamato in causa, come parte di quella componente medico-legale che l’Amico e Collega definisce – forse un po’ azzardatamente – minoritaria, che in epoca pandemica sostenne (e per quanto mi riguarda continua a farlo) la collocabilità della infezione da COVID-19, all’interno dell’infortunio e non della malattia, in ambito di assicurazione privata.
Diversità tra infortunio INAIL e infortunio in polizza privata
Quanto affermato da Ronchi è del tutto condivisibile in merito alle caratteristiche dell’infortunio, della sua definizione e della causa violenta che ne deve stare alla base, come della impossibilità di identificare la violenza della causa solo con la componente meccanico-traumatica. Del pari non si può non concordare con la sentenza, in merito alla necessità di tenere ben distinto l’ambito della Assicurazione Privata da quello della Assicurazione Sociale contro i rischi del lavoro, relativamente alla pacifica ammissibilità, nella seconda, della COVID-19 infortunio, ed alla necessità, invece, per la prima di approfondire meglio ogni argomentazione. Fermo restando il presupposto, peraltro, che la differenza fra infortunio e malattia nell’ambito dell’Assicurazione Privata meriterebbe un maggior dettaglio di argomenti, rispetto a quanto ritenuto sufficiente nelle considerazioni della S.C.
D’altronde merita anche appena ricordare che, per quanto attiene l’ambito INAIL, la ammissibilità o meno all’indennizzo della infezione COVID, mai è derivata da un contenzioso in punto di “violenza” o meno della causa (pacificamente essendo ammessa la identità fra causa virulenta e causa violenta), ma in riferimento alla ricorrenza o meno della “occasione di lavoro”, elemento definitorio e condizionante dell’infortunio indennizzabile.
I criteri per definire la “violenza” della causa
Diversamente, invece, è per l’Assicurazione Privata, in cui le argomentazioni vertono, come puntualmente evidenziato da Ronchi, sulla necessità, anzitutto, di definire il criterio su cui si fonda la violenza, per aggettivare correttamente la causa che sta alla base dell’evento indennizzabile. Puntualmente ricorda Ronchi, come la Medicina Legale ha da sempre individuato tali caratteristiche nella concentrazione lesiva che deve avere la causa, per potersi definire violenta, per essere tale da produrre il danno in un periodo concentrato di tempo (a differenza della causa della malattia che agisce in un arco temporale prolungato).
Fin qui nulla quaestio! per le argomentazioni offerte pienamente da condividere ed ormai ammesse alla comune interpretazione medico-legale.
Non altrettanto condivisibili, invece, appaiono le argomentazioni di Ronchi, quando afferma la necessità che la causa, per potersi definire “violenta”, non solo debba caratterizzarsi per una concentrazione cronologica, ma debba anche non potersene ricondurre l’appartenenza agli atti comuni della vita: “…Per la qualifica di infortunio ai sensi di polizza, peraltro, non è sufficiente la sussistenza dei tre requisiti di cui sopra ed è necessario che prima ancora si verifichi la natura dell’evento che ne è all’origine, il quale non deve essere atto comune della vita. All’origine del contagio da Corona Virus sono da riconoscere atti comuni della vita”.
Perché la causa è “violenta”
E cita Ronchi, a sostegno esemplificativo della sua argomentazione, alcuni elementi che se servono nell’intenzione dell’Autore a corroborare la tesi, a parere di chi scrive risultano dimostrative del contrario; e precisamente:
- Si afferma che l’evento, per assumere la connotazione di infortunio indennizzabile, non deve appartenere agli atti comuni della vita, recando a sostegno esemplificativo la differenza antica fra sforzo e atto di forza, caratterizzante il primo, secondo ancestrale Dottrina, l’evento eccezionale proprio alla definizione di infortunio, mentre il secondo, a specifico motivo della ricorrenza ordinaria della causa, doveva esserne escluso. Al riguardo merita ricordare che, per costante e conforme riconoscimento della S.C., la differenza non poteva essere ammessa, dovendosi intendere la violenza della causa come riferita alla capacità della stessa di agire in una frazione temporale concentrata, su una realtà biologica individuale su cui si manifestava il danno, e non ad una astratta potenzialità lesiva che la rendeva eccedente l’ordinarietà.
La causa produttiva di danno, in altri termini, era da ritenere violenta anche quando l’atto fosse di forza ordinaria, ma tale da determinare una lesione causalmente riconducibile all’impegno energetico erogato. anche se a tale impegno poteva riconoscersi un carattere di ordinarietà, nella misura in cui a parità di energia applicata, in epoca antecedente, non si era dovuto assistere ad una lesione causalmente riconducibile all’atto stesso. In ambito di Assicurazione Privata, peraltro, la non ammissibilità all’indennizzo dell’evento prodottosi in una situazione siffatta, non era da ricondurre al mancato riconoscimento di una causa violenta, bensì alla dimostrabilità di concause preesistenti, in assenza delle quali la causa stessa non avrebbe indotto la lesione. L’infortunio, dunque, non poteva definirsi tale perché non riconducibile a causa unica, sulle cui caratteristiche di “violenza” neppure si doveva soffermarsi ad argomentare; - In termini di concentrazione cronologica, poi, occorre chiedersi se la penetrazione del virus ne assorba o meno le caratteristiche. Secondo una interpretazione negativa sembra ammettersi che non è il contagio come tale cui è lecito negare il requisito, ma a quel contagio che non assume le caratteristiche di causa violenta in quanto conseguente ad atti comuni della vita. Non si discute la violenza della causa nella penetrazione dell’agente infettivo attraverso una ferita o la puntura di un insetto, ma non altrettanto nel contagio “ordinario”, “senza che nessuna energia ab estrinseco (indipendentemente dalla quantità/intensità) abbia investito la persona: solo vicinanza con altra persona infetta” (così nell’interpretazione di Ronchi).
Orbene! Fermo restando che ogni opinione è come tale rispettabile, non può negarsi la difficoltà a condividere l’impostazione, nel momento in cui possa ammettersi che la penetrazione del virus è da intendersi come causa violenta se avviene attraverso una strada precedentemente “aperta” (ferita, puntura), la medesima concentrazione lesiva, espressione di causa violenta non debba riconoscersi al repentino superamento della barriera tegumentaria (cutanea o muccosa) da parte dell’agente infettante. E’ la penetrazione come tale che configura l’energia ab estrinseco (per usare le parole di Ronchi) necessaria a produrre la lesione, a meno che non si voglia cadere nella contraddizione secondo cui la violenza può riconoscersi solo ad una causa di carattere meccanico-traumatico (smentendo quanto poco sopra affermato).
Non conta il momento del contagio
Quanto, poi, alla argomentazione inerente la necessità di dimostrare in termini circostanziati, il momento e le modalità della penetrazione dell’agente infettante, non si può non osservare che tale dimostrazione probatoria rileva in ambito di infortunio INAIL od anche di R.C., allorché, in ogni modo, sia da dimostrare la riconducibilità causale dell’evento ad un fatto umano o del lavoro, mentre nell’ipotesi della Assicurazione Privata la dimostrazione del momento in cui è occorso il contagio appare privo di qualsiasi interesse, eccezion fatta per le condizioni di esclusione (eventuali) o per la tempestività della denuncia.
L’eccedenza dall’ordinario
In definitiva sembra doversi ammettere che, sul piano medico-legale, la riconducibilità dell’infezione da COVID all’infortunio e non alla malattia, è sostenuta da argomentazioni più solide di quelle miranti alla dimostrazione contraria, trattandosi di evento la cui eccezionalità è dimostrata dall’eccedenza dell’ordinario (non tutti i contatti e le penetrazioni di agente infettivo si trasformano in eventi di lesione), di cui è evidente la esteriorità della causa e la “violenza” della stessa intesa come concentrazione lesiva.
Trattandosi di materia contrattuale, poi, è nella definizione del contratto medesimo e nella capacità di prevedere ipotesi difficilmente sostenibili sul piano assicurativo, che si devono definire di concerto fra l’Assicurazione e il Contraente i presupposti per una corretta definizione delle condizioni di polizza attraverso le condizioni di esclusione, piuttosto che forzare concettualmente i presupposti bio-medico-legali, definitori di un evento, per poterlo ritenere ammissibile o meno all’indennizzo.