Con la sentenza n. 13375 del 03.04.2024 la Cassazione Penale torna ad esprimersi sul dovere di tutela che tutti gli operatori hanno nei confronti del paziente operato. Gli Ermellini evidenziano, nuovamente, come sia rilevante la posizione di garanzia del primo operatore chirurgico anche nella fase post-operatoria e ribadiscono il significato dell’autonomia dell’ostetrica.
Il fatto
Il caso riguarda un quinto taglio cesareo effettuato nel gennaio 2012 a cui fece seguito il decesso della paziente.
Una donna, al nono mese di gravidanza, fu ricoverata per espletare il quinto parto cesareo, al termine del quale la puerpera fu condotta nella stanza di degenza. Da quanto emerge nella sentenza, le cartelle cliniche documentavano un rilevamento della temperatura corporea e della pressione arteriosa a 40 minuti di distanza dalla fine dell’intervento chirurgico ed un successivo controllo ginecologico a distanza di due ore dal termine dello stesso parto operativo. In entrambe queste occasioni risulta che le condizioni erano buone e l’utero era contratto. Tuttavia, a distanza di una ulteriore ora dall’ultimo controllo specialistico insorgeva un grave quadro di shock ipovolemico inizialmente trattato con terapia farmacologica e solo dopo poco più di un’ora la paziente fu condotta in sala operatoria ove, constatata l’ipotonia uterina post-cesareo ed eseguita la laparoisterectomia, la paziente andò incontro all’exitus a seguito di un arresto cardiaco.
Le indagini e le consulenze espletate individuarono come causa del decesso l’emorragia post-partum da atonia uterina.
Per tale decesso le Corti territoriali condannarono il ginecologo che eseguì il parto cesareo e l’ostetrica.
Queste due figure professionali proposero ricorso in cassazione.
Le questioni dirimenti
Nella sentenza è riportato che l’esecuzione dei due interventi chirurgici, il parto cesareo e la laparoisterectonia, furono corretti, mentre le contestazioni mosse ai ricorrenti riguardarono la gestione ed il monitoraggio della fase iniziale del puerperio, rimproverando loro nell’imputazione di non aver correttamente controllato le condizioni cliniche della paziente, nelle rispettive posizioni di garanzia. In modo particolare emerge come nelle sentenze di merito sia sottolineato il fatto che i due ricorrenti non verificarono alcun parametro vitale, come la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca o la contrazione dell’utero ed i livelli di emoglobina.
Per quanto il reato si sia estinto per prescrizione, gli Ermellini nella parte motiva della sentenza specificano elementi che devono essere sempre presi in considerazione nel corso dell’attività professionale dai sanitari che si avvicendano al capezzale del malato:
- l’obbligo di garanzia è rappresentato da un dovere di diligenza più pregnante per il capo equipe chirurgico che, all’esito di un intervento, deve dare specifiche direttive per il monitoraggio del periodo post-operatorio, anche sollecitando il personale sanitario in servizio al fine di attuare una accurata attenzione e vigilanza del paziente, essendo lui il portatore primario di conoscenza di quanto accaduto in sala operatoria;
- in situazioni di alto rischio, il medico, pur in mancanza di specifici segnali di allarme, è tenuto ad adottare tutte le cautele del caso e, in particolare, a disporre un attento regime di monitoraggio del paziente, nonché l’effettuazione ad opera del personale qualificato di tutti i necessari controlli, onde evitare eventi lesivi;
- il ruolo spettante all’ostetrica nell’organigramma dei sanitari del settore ginecologico, trattandosi di figura infermieristica molto professionalizzata e specifica, prevede in autonomia di procedere al monitoraggio dei parametri vitali della puerpera.
La sentenza
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza
Alcune riflessioni
Partiamo dalla fine.
L’obbligo di garanzia
Dopo l’introduzione delle normative che hanno fatto assumere agli altri operatori sanitari attinenti ai corsi di laurea (infermieristica, ostetricia, TRSM ecc…), abolito il mansionario, le figure professionali sanitarie non mediche sono ora prestatori d’opera intellettuale, ossia qualificati professionisti per i quali, alla luce della nuova autonomia, è valido il principio della diligenza qualificata. Atti propri della professione ricadono quindi nella loro autonoma sfera di responsabilità.
Per quanto attiene all’affidamento da parte del medico ad altre figure professionali mediche, o ad altri colleghi, tale principio, se trova un vizio a monte degli eventi causali rappresentato da una carenza di condotta ab initio da chi lo invoca, non è valido come elemento di esclusione del nesso causale, posto che anche un eventuale errore da parte del collega può porsi in termini di non eccezionalità e di imprevedibilità (vale, quindi, sempre la regola della conoscibilità dell’errore).
Infine, l’obbligo di garanzia permea tutta l’attività medica e quella degli altri operatori sanitari, ma ciò che lascia perplessi è il fatto che, nella vicenda sanitaria riportata in sentenza, non risultano registrati i parametri vitali.
Ebbene, attività assai routinarie come prendere la pressione arteriosa, la frequenza respiratoria e cardiaca, la temperatura corporea e la saturazione di ossigeno, spesso sottovalutate rispetto ai più nobili e fini esami strumentali, rimangono comunque il cardine della medicina e della prestazione sanitaria che mai deve essere dimenticata.
L’importanza delle procedure interne
La sentenza della Corte di Cassazione ben può richiamare alla mente l’importanza di procedure interne, standardizzate, che fissino i criteri di monitoraggio del paziente nel periodo post-operatorio, vera azione di risk management e pratica di sicurezza proprio a garanzia del paziente. Si eviterebbe così di lasciare al singolo operatore sanitario l’opzione di attuare scelte del tutto personali e a tratti inefficaci che, anche se in perfetta buona fede, possono rappresentare un rischio per il paziente e per l’operatore sanitario stesso.
Questo caso giudiziario dovrebbe essere di insegnamento anche alla luce del Decreto 15 dicembre 2023 n. 232 riguardante le polizze assicurative delle strutture sanitarie e degli operatori sanitari (VEDI), in particolar modo in riferimento all’art. 16: “Funzioni per il governo del rischio assicurativo e valutazione dei sinistri” ed all’art. 17 “Gestione del rischio assicurativo”.
Un’ultima riflessione, amara. Il decesso avvenne nel 2012, la sentenza della Corte di Cassazione nel 2024.