Abstract
Il Comitato Nazionale di Bioetica propone l’elenco degli esperti che dovrebbero formare la Commissione preposta a decidere sulla possibilità di autorizzare il “suicidio assistito”. Tra i professionisti elencati si parla di un “esperto in diritto”. Non sarebbe stato più corretto parlare di “specialista in medicina legale”. Se lo chiedono il nostro Davide Santovito e la Dott.ssa Claudia Viteritti medico in formazione della Scuola di Medicina Legale dell’Università di Torino).
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“Salutò la Morte come una vecchia amica e andò lieto con lei, da pari a pari, congedandosi da questa vita”
Dalla “Storia dei Tre Fratelli” contenuta nel libro di Fiabe di Beda il Bardo, testo presente nel mondo magico di Harry Potter creato dalla scrittrice J.K. Rowling.
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Ora che l’aspettativa di vita media si innalza sempre più, e che i progressi medici permettono di ingannare la morte anche in condizioni estreme, inizia a farsi sempre più pressante il bisogno di porsi un quesito esistenziale: Meglio aggiungere anni alla vita o vita agli anni?
Ciascuno di noi avrà una propria personalissima opinione al riguardo, ma resta innegabile che diventa sempre più vivo il dibattito in merito al tema dell’EUBIOSIA, dalla parola greca eubios = “Buona vita, Vita serena e tranquilla”, cioèil tentativo di migliorare dal punto di vista relazionale, della sofferenza e del dolore, la vita di quei pazienti con prognosi infausta, nel pieno rispetto della loro dignità (Santovito D. Eubiosia: fino all’ultimo “buona vita”).
E cosa fare se un malato terminale reputa la propria condizione insostenibile e incapace di permettergli una vita degna di essere vissuta?
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Le richieste della Corte d’Assise di Milano alla Corte Costituzionale
Dopo la spinosa vicenda di dj Fabo e Cappato del 2017, il 25 settembre 2019 la Corte Costituzionale aprì al suicidio assistito, ritenendo non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola “l’esecuzione del proposito di suicidio” di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ed affetto da una patologia irreversibile.
Infatti, durante l’iter processuale, il 14 febbraio 2018 la Corte d’Assise di Milano sollevò questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale: “L’art. 580 cod. pen. rappresenterebbe, infatti, una ipotesi eccezionale di incriminazione del concorso in un fatto lecito altrui, giustificabile – anche per quanto attiene al particolare rigore della risposta punitiva – solo sulla base di una anacronistica visione statalista del bene giuridico della vita: visione inconciliabile, per le ragioni indicate, con l’attuale assetto costituzionale. In questa prospettiva, la condotta di chi si limiti ad agevolare la realizzazione di un proposito di suicidio liberamente formatosi dovrebbe essere considerata come un «comportamento “penalmente inane”», essendo volta a garantire il diritto fondamentale all’autodeterminazione sulle scelte del fine vita, riferite a una esistenza ritenuta – per circostanze oggettive – non più dignitosa dal suo titolare”…
“Evidente sarebbe anche la violazione del principio di eguaglianza, sotto plurimi profili. La norma censurata determinerebbe, infatti, una disparità di trattamento tra chi è in grado di porre fine alla propria vita da solo, senza bisogno di aiuto esterno, e chi, invece, è fisicamente impossibilitato a farlo per la gravità delle proprie condizioni patologiche, con conseguente discriminazione a scapito proprio dei casi maggiormente meritevoli di considerazione”.
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Le decisioni della Corte Costituzionale
Ne conseguì che l’anno successivo, all’interno del petitum principale, la Corte Costituzionale individuò “una circoscritta area di non conformità costituzionale della fattispecie criminosa, corrispondente segnatamente ai casi in cui l’aspirante suicida si identifichi – come nella vicenda oggetto del giudizio a quo – in una persona «(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli»”.
Di conseguenza, “L’art. 580 cod. pen. deve essere dichiarato, dunque, costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017 – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi dianzi indicati –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
Se l’apertura della Corte Costituzionale verso il suicidio assistito costituisce una svolta epocale, dall’altra parte mise la nazione di fronte a un nuovo dilemma etico: a chi spetta valutare il rispetto dei tre requisiti e di conseguenza la legittimità della scelta del paziente?
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Il parere chiesto dal Ministero della Salute al CNB
Per trovare una risposta, il Ministero della Salute richiese un parere in merito all’individuazione dei comitati etici competenti in materia di suicidio assistito, al Comitato Nazionale per la Bioetica, il quale, a prescindere da qualsiasi posizione sul tema stesso del suicidio assistito, ritiene che: “il Comitato Etico così identificato debba istituire al suo interno, in un approccio “caso per caso”, una commissione integrata con esperti esterni. Tenendo presente i bisogni fisici, psicologici e spirituali della persona coinvolta e il rispetto della L. 38/2010, appaiono essenziali le seguenti figure: il medico palliativista con competenze ed esperienze assistenziali, il medico anestesista rianimatore, lo psicologo, lo psichiatra, il bioeticista, un infermiere con competenze ed esperienze specifiche in cure palliative, il medico di medicina generale e l’esperto in diritto”.
Qui sotto potete trovare i documenti relativi al parere
predisposto dal Comitato Nazionale di Bioetica
In merito ai Comitati etici, rispetto ai quali le novità legislative sono già state fatte presenti in questo sito (vedi Tattoli L., Abenante B. Riforma comitati etici: un punto di svolta), si ritiene opportuno sollevare il ruolo della medica legale all’interno di materie così umane e civili che investono il biodiritto.
Nel comunicato è citato un “esperto in diritto”, ma chi sarebbe? Un avvocato, un giurista, un giudice o, piuttosto, uno specialista in medicina legale?
La risposta dovrebbe essere univoca e determinata per chi scrive: lo specialista in medicina legale.
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Perché non c’è lo specialista in medicina-legale
Non è chiara questa nebbia terminologica, o vuoi “timore”, nell’usare i termini “specialista in medicina legale” in materie così delicate che interessano il bene vita/salute, inevitabilmente correlato al biodiritto. Vuoi forse perché tale specializzazione è relativamente giovane rispetto alle altre, sebbene ormai sia passato ormai un secolo da quando a Padova fu fondata la prima scuola di specializzazione (1924), o se sia frutto di un antico retaggio in cui tale figura si identificava con il patologo forense.
Ad ogni modo, è giunto il tempo di superare l’idea che il medico legale si occupi solo ed esclusivamente di morti (non morte, intesa come fenomeno accaduto ed immutevole). Lo specialista medico legale si occupa fondamentalmente di vivi, ne tutela i diritti e la dignità, ed il morire è un percorso che si decide, nella questione che qui ci occupa, quando si è in vita e solo dopo si giunge alla morte.
Lo specialista medico legale ormai non si occupa più solo di θάνατος (thanatos), ma anche e sempre più di βίος (bios) e ἦϑος (ethos).
La medicina legale è la disciplina che più di tutte connubia la morte e la vita, la medicina e il diritto. Questa branca nasce con uno scopo ben specifico, da esigenze di giustizia, la quale ad un certo punto ha avvertito la necessità di fare ricorso alle conoscenze mediche e di impiegarle per risolvere delle questioni di diritto.
La medicina legale è da definirsi “res biologica sub specie juris”. Siamo quindi decisamente ben oltre al riduzionistico “esperto di diritto”.
E si badi bene, non è un mero desiderio di rivalsa della nostra categoria, ma la questione ha un risvolto innanzitutto pratico e di biodiritto, che deve vedere coinvolto fin da subito lo specialista medico legale.
Forse anche questa riflessione ben può essere di stimolo al Legislatore e al Comitato Nazionale di Bioetica affinchè, a tutela di tutti i cittadini che soffrono, si dispieghino anche le conoscenze del nostro settore specialistico.
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