Abstract
La III° Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in merito al danno da violazione dell’autodeterminazione. Nuovamente, con determinazione, gli Ermellini hanno tracciato lo schema attraverso il quale analizzare e concedere o negare le richieste risarcitorie mosse per violazione del consenso informato.
. . . .
IL FATTO
Un paziente convenne in giudizio l’Azienda Ospedaliera chiedendone la condanna al risarcimento dei danni biologici e patrimoniali causati da un errore chirurgico durante l’asportazione di un’ernia discale, nonché i danni derivanti dalla lesione al diritto all’autodeterminazione per mancanza di consenso informato.
In primo grado il Tribunale adito rigettò il ricorso, ma il paziente fece appello. In secondo grado i Giudici riformarono parzialmente la sentenza di primo grado, riconoscendo il risarcimento per il danno non patrimoniale diverso dal danno biologico, per la mancanza di prova che fosse stata fornita al paziente una adeguata e completa informazione anche sulle possibili complicanze dell’intervento, pur correttamente eseguito.
L’azienda, avverso tale decisione, propose ricorso in Cassazione, che però fu rigettato.
LO SCHEMA
Lasciando al lettore il piacere di dipanare i tre motivi del ricorso, si vuole qui concentrare l’attenzione sullo schema che gli Ermellini descrivono nel puntualizzare, nuovamente, come si delinea sia il nesso causale ed il danno nella violazione al diritto all’autodeterminazione.
Caratteristiche del consenso oltre all’informazione
Prima, però, è opportuno ribadire come nella presente Ordinanza, la Corte ribadisce che il consenso del paziente oltre ad essere informato deve essere:
- Consapevole;
- Completo: deve riguardare tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili;
- Globale: deve coprire non solo l’intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso);
- Esplicito e non meramente presunto o tacito (anche se presuntiva, per contro, può essere la prova, da darsi dal medico, che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito).
Assai interessante è anche l’affermazione del fatto che una complicanza, che può verificarsi nel 5% dei casi, non può considerarsi eccezionale o altamente improbabile.
Le conseguenze dell’inadempimento
Tornando allo schema che può desumersi dalla Ordinanza, si possono tracciare due macro-aree di rilevanza causale, derivante dall’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato, a secondo che la deduzione riguardi:
- a) lesione del diritto alla salute: l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende, invece, dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile, di regola, in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – che, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso;
- b) violazione del diritto all’autodeterminazione: l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario.
Tali due enunciati non esauriscono lo schema concettuale cui occorre fare riferimento ai fini della verifica della fondatezza della pretesa risarcitoria, anche quando dedotta come nascente dalla violazione degli obblighi informativi.
l fatto costitutivo del credito risarcitorio
Infatti, il fatto costitutivo del credito risarcitorio richiede la presenza di tre elementi:
- a) la condotta lesiva (ovvero l’omissione o l’incompletezza delle informazioni rese al paziente, insieme con il presunto dissenso all’atto terapeutico);
- b) l’evento di danno (che può essere rappresentato dalla violazione del diritto all’autodeterminazione o della lesione del diritto alla salute o da entrambi allo stesso tempo: potenziale plurioffensività del medesimo fatto lesivo ), legato al primo da nesso di causalità materiale;
- c) il danno-conseguenza, ossia le concrete conseguenze pregiudizievoli, derivanti, secondo nesso di causalità giuridica ex art. 1223 c.c., dall’evento di danno, queste sole costituendo danno risarcibile nel vigente ordinamento che non ammette la risarcibilità di un danno in re ipsa.
SUB-A), deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla salute: non vi sono considerazioni particolari da fare quanto al secondo ed al terzo elemento dello schema concettuale sopra ricordato: risarcibile non sarà, in sè, la lesione dell’integrità psico-fisica, ma le conseguenze pregiudizievoli da questa derivanti. La particolarità è insita nel fatto lesivo: “l’omessa informazione assume di per sè carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la rilevanza causale dell’inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa “consenso/dissenso” che qualifica detta omissione”. Ed allora:
- Presunto consenso: l’inadempimento dell’obbligo informativo, pur esistente, risulterebbe privo di incidenza deterministica sul risultato infausto dell’intervento correttamente eseguito, in quanto comunque voluto dal paziente.
- Presunto dissenso: detto inadempimento assume invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l’intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito – e l’esito infausto non si sarebbe verificato – non essendo stato voluto dal paziente.
L’allegazione (e la verifica giudiziale) dei fatti dimostrativi della opzione “a monte” che il paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante del nesso eziologico (da provarsi ovviamente da parte della parte attrice ex art. 2697 c.c.) tra l’inadempimento e l’evento dannoso.
SUB-B), deficit informativo dedotto come lesivo del diritto alla autodeterminazione: le considerazioni da fare riguarderanno invece il terzo elemento dello schema concettuale, ossia i pregiudizi risarcibili. Quanto al fatto lesivo, invero, se, di regola, occorre allegare e provare, oltre alla violazione dell’obbligo informativo, anche che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento, è di converso ipotizzabile che, pur nel caso in cui possa presumersi che questi avrebbe prestato il consenso (o in cui comunque non v’è prova del contrario, come nella specie), egli non sia stato messo nelle condizioni di autonomamente determinarsi ed affrontarle consapevolmente. Anche in tale ipotesi, dunque, la violazione dell’obbligo informativo determina comunque la lesione del diritto all’autodeterminazione. Con ciò, però, si rimane pur sempre sul piano dell’evento lesivo (o danno-evento), il quale non costituisce ex se, come detto, danno risarcibile.
Questa ripartizione della deduzione in merito al deficit informativo, porta gli Ermellini sempre a ribadire che: “un danno risarcibile da lesione del diritto all’autodeterminazione è predicabile se e solo se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente, da allegarsi specificamente e da provarsi concretamente, sia pure a mezzo di presunzioni”.
Le cinque ipotesi della Cassazione in relazione all’inadempienza ex art. 1218 cc o alla colpa ex art. 2043
Nell’ordinanza i cinque Magistrati delineano cinque ipotesi, a seconda dell’intreccio delle allegazioni riguardanti l’esecuzione della prestazione sanitaria, rispetto all’inadempienza ex art 1218 cc o alla colpa ex art. 2043 cc:
I) Ricorrono:
- a) il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso);
- b) il danno iatrogeno (l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti);
- c) ciò a causa della condotta inadempiente o colposa del medico – in tal caso sarà risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria.
II) Ricorrono:
- a) il dissenso presunto (ossia: può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all’atto terapeutico);
- b) il danno iatrogeno (l’intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti);
- c) la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria – in tal caso sarà risarcibile sia, per intero, il danno, biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, ossia le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, che siano allegate e provate, sia pure per presunzioni.
III) Ricorrono sia il dissenso presunto che il danno iatrogeno ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria (l’intervento è stato correttamente eseguito): in tal caso il risarcimento sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto all’autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poichè, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto.
IV) Ricorre il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso) e non vi è alcun danno derivante dall’intervento: in tal caso nessun risarcimento sarà dovuto.
V) Ricorrono il consenso presunto e il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria (l’intervento è stato correttamente eseguito): in tal caso, il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all’autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi e provi che, dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione, gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente.
LA MORALE
Per quanto la legge 219/2017 stabilisca che il consenso informato, non l’informativa, debba essere sottoscritto ed allegato in cartella, la morale della “favola” rimane sempre la medesima. Il creditore, alias il paziente, è sempre la parte debole sia all’interno di un contratto di cura, contrattualmente sottoscritto da entrambe le parti, sia nell’ambito della responsabilità extracontrattuale. Pertanto, il medico o la struttura sanitaria deve provare di aver correttamente adempiuto al dovere in informazione, rendendo consapevole il paziente delle conseguenze negative che l’intervento può avere (ma anche del rifiuto allo stesso, aggiungiamo).
Ciò significa che deve essere sempre la struttura sanitaria, o il medico, a dimostrare di aver ben adempiuto e quindi di aver fornito al paziente tutte le informazioni necessarie per renderlo consapevole delle proprie scelte di adesione (o rifiuto) del percorso terapeutico proposto.
Pertanto, e lo diceva già la pubblicità della Girella Motta, la morale è sempre quella: allegare in cartella l’informativa, meglio se quella di una Società Scientifica, tralasciando la vetusta e perniciosa modulistica prestampata e spersonalizzante.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza
VUOI APPROFONDIRE QUESTO ARGOMENTO?
Leggi anche: Autonomia risarcitoria per l’acquisizione del “consenso informato”