Abstract
L’omoaffettività, la fecondazione in vitro all’estero e la registrazione all’anagrafe del bambino nato da maternità surrogata. La Cassazione Civile a Sezioni Unite interviene sferzando il Legislatore.
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Anno 1950, la letteratura vede l’uscita della Cronache di Narnia, serie di romanzi a firma di C.S. Lewis. Nel nostro caso, il titolo del primo libro “Il leone, la strega e l’armadio” può essere con un po’ di fantasia così declinato “Omoaffettività, la fecondazione in vitro e la registrazione all’anagrafe”. Però, là dove l’autore naturale dovrebbe essere il Legislatore, la Cassazione a Sezioni Unite civili (n. 38162/2022 del 30.12.2022) si è trovata a dirimere una questione di diritto che investe l’essere umano, le modalità del concepimento della sua discendenza ed i diritti del bambino.
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Il fatto
Il caso che ha dato origine al giudizio riguarda un bambino nato all’estero da maternità surrogata. Questo è il fatto di causa con cui ha inizio la sentenza di 65 pagine. La sola riga iniziale è già un elemento di per sé che dovrebbe fare riflettere: come può un bambino essere “il caso” che ha dato origine ad un giudizio? Il giudizio, forse con più umanità e razionalità, dovrebbe trovare il proprio incipit negli adulti che hanno fatto le proprie scelte, condivisibili o meno, anche in riferimento a chi ha il dovere di legiferare.
La Sentenza riporta come fatto di causa il progetto procreativo condiviso da una coppia omoaffettiva italiana, di cui uno dei due uomini ha fornito i propri gameti, che sono stati uniti nella fecondazione in vitro con l’ovocita di una donatrice. L’embrione è stato poi trasferito nell’utero di una diversa donna, non anonima, che ha portato a termine la gravidanza e partorito il bambino. I due uomini si sono uniti in matrimonio in Canada e l’atto è stato trascritto in Italia nel registro delle unioni civili.
Il primo passo per la coppia fu la notifica di nascita in Canada: le autorità canadesi formarono un atto di nascita che indicava come genitore il solo padre biologico, mentre non sono stati menzionati né il padre intenzionale, né la madre surrogata, né la donatrice dell’ovocita. Qui il primo motivo del contendere con la autorità canadesi.
I due uomini fecero ricorso avanti alla la Corte Suprema della British Columbia (2017), che dichiarò che entrambi i ricorrenti dovevano figurare come genitori del bambino e dispose la corrispondente rettifica dell’atto di nascita in Canada.
Dopo questa prima battaglia legale, la coppia italiana richiese all’ufficiale di stato civile italiano di rettificare anche l’atto di nascita del bambino in Italia, che indicava come genitore il solo padre biologico. L’ufficiale di stato civile rifiutò la richiesta, sia perché esisteva già un atto di nascita trascritto, sia per l’assenza di dati normativi certi e di precedenti favorevoli da parte della giurisprudenza di legittimità.
Qui nasce la seconda disputa di diritto, per cui la coppia fece ricorso avanti alla Corte di Appello che con ordinanza del luglio 2018 accertava che la sentenza emessa dalla Suprema Corte della British Columbia in data 8 settembre 2017 possedeva i requisiti per il riconoscimento a norma dell’art. 67 della legge n. 218 del 1995.
La Corte d’appello rilevava che rientra tra i diritti fondamentali la tutela del superiore interesse del minore in ambito interno e internazionale, come sancita dalle convenzioni internazionali. L’ordine pubblico internazionale impone di assicurare al minore la conservazione dello status e dei mezzi di tutela di cui egli possa validamente giovarsi in base alla legislazione nazionale applicabile, in particolare del diritto al riconoscimento dei legami familiari ed al mantenimento dei rapporti con chi ha legalmente assunto il riferimento della responsabilità genitoriale. Né – proseguiva la Corte – può ricondursi all’ordine pubblico la previsione che il minore debba avere genitori di sesso diverso, posto che nel nostro ordinamento è contemplata la possibilità che il minore abbia due figure genitoriali dello stesso sesso nel caso in cui uno dei genitori abbia ottenuto la rettificazione dell’attribuzione del sesso.
La Corte di Appello si esprimeva anche in merito alla pratica della surrogazione di maternità di cui all’art. 12 comma 6 della legge 40/204. La Corte osservava che le scelte del legislatore italiano sono frutto di discrezionalità e non esprimono principi fondanti a livello costituzionale che impegnino l’ordine pubblico. Non potrebbe ritenersi rilevante la sanzione penale comminata dal citato art. 12, comma 6, che punisce chiunque, in qualsiasi forma, realizzi, organizzi o pubblicizzi la maternità surrogata, dato che il divieto e la sanzione penale non si sovrappongono alla valutazione del miglior interesse del minore concepito all’estero con tali tecniche, il quale non potrebbe essere privato dello status legittimamente acquisito nel Paese in cui è nato.
La storia giudiziaria non termina qui.
Il Ministero dell’Interno ed il Sindaco del comune ove fu fatta richiesta di registrazione all’anagrafe ricorsero per Cassazione ad ottobre 2018.
La coppia, in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale, resistette con controricorso.
Ogni parte propose i propri motivi alla Prima Sezione la quale, prendendo atto del fatto che nel frattempo fu depositata la sentenza delle Sezioni Unite civili 8 maggio 2019, n. 12193, che aveva affermato il principio secondo cui non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che riconosca il rapporto di genitorialità tra un bambino nato in seguito a maternità surrogata e il genitore d’intenzione (tale riconoscimento trova ostacolo insuperabile nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, siccome posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione), sollevava questioni di legittimità costituzionale.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 33 del 2021, dichiarava inammissibile la questione e ripreso il giudizio avanti alla prima Sezione Civile, con ordinanza del 21.01.2022 n. 1842, la stessa sezione rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
La Prima Sezione sosteneva che, in assenza di un intervento innovativo del legislatore, è necessario partire da una rivalutazione degli strumenti normativi esistenti (delibazione e trascrizione) per verificare se sussista un insuperabile ostacolo alla loro utilizzazione derivante dalla natura di ordine pubblico del divieto di maternità surrogata. Tale ostacolo, ad avviso della Sezione rimettente, non sussisterebbe, a condizione che siffatti strumenti non operino automaticamente e che la compatibilità della delibazione o della trascrizione con i valori sottesi al divieto di surrogazione sia compiuto non in astratto, ma con riferimento ad ogni singolo caso concreto, sia pure alla luce di criteri che abbiano validità generale ed in base ad un bilanciamento dei valori in conflitto ispirato a principi di proporzionalità e ragionevolezza, senza che vi sia un’aprioristica definizione di prevalenza di un interesse in gioco.
Il Primo Presidente disponeva quindi l’assegnazione alle Sezioni Unite.
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La decisione delle Sezioni Unite
La Sentenza delle Sezioni Unite civili dimostra il complesso iter giudiziario che logora, secondo lo scrivente, chi è l’oggetto del “caso” che ha dato origine al giudizio: il bambino, quasi come se fosse stato lui a voler venire al mondo. In un mondo ove chi ha la responsabilità di regolamentare non ha alcuna intenzione di farlo.
Sono gli stessi Ermellini che “pungulano” il Legislatore scrivendo: “Il legislatore è rimasto finora inerte. Il monito giace inascoltato. Nell’attesa dell’intervento, sempre possibile ed auspicabile, del legislatore, il giudice, trovandosi a dover decidere una questione relativa allo status del figlio di una coppia omoaffettiva, non può lasciare i diritti del bambino indefinitamente sospesi, ma deve ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione idonea ad assicurare, nel caso concreto, la protezione dei beni costituzionali implicati, tenendo conto delle indicazioni ricavabili dalla citata sentenza della Corte costituzionale.”. L’urlo è ancora più forte quando a pag. 28 della sentenza si legge: “La giurisprudenza non è fonte di diritto”, soprattutto nel campo in cui sono in gioco controversie eticamente sensibili.
La Sentenza enuncia il seguente principio di diritto:
Poiché la pratica della maternità surrogata, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, non è automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, e a fortiori l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci. Nondimeno, anche il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. L’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983[1]. Allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita
É inevitabile che il Giudice non abbia altra via che utilizzare le norme a sua disposizione e, in assenza di intervento legislativo, ha individuato tra le norme quella riguardante l’adozione per porre soluzione “giuridica” al “caso”.
Se il primo capitolo della Cronache D’Italia si è chiuso, il futuro ci dirà se il Legislatore vorrà prendere in mano la penna e chiudere così la saga già al capito due, prima che un caso di adozione renda necessario pensare ad una trilogia, con l’inserimento di un secondo capito: stepchild adoption.
Qui sotto potete leggere e scaricare sentenza in forma completa
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Note
- [1] Legge 184 del 1983, art. 44: CAPO I DELL’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI E DEI SUOI EFFETTI – 1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7: a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge; c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre; d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. 2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, è consentita anche in presenza di figli legittimi. 3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. 4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare (Articolo così sostituito dall’art. 25, L. 28 marzo 2001, n. 149).
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