Per leggere l’intero articolo che ci ha ispirati – clicca qui Keller T et al. Multicentric case series of scuba diving fatalities: The role of intracardiac gaseous carbon dioxide in the forensic diagnosis. Forensic Science International 352 (2023) 111845
Per un focus sulle tecniche di approccio forense ai casi di morte da immersione – clicca qui Tarozzi I et al. Black box of diving accidents: Contribution of forensic underwater experts to three fatal cases. Forensic Sci Int 2023 May:346:111642
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Epidemiologia
Secondo il rapporto 2015 della Sports and Fitness Industry Association, ogni anno negli Stati Uniti circa 3 milioni di persone praticano attività subacquee.
Nonostante i miglioramenti apportati alle attrezzature tecniche e alle tecniche di immersione, l’incidenza di eventi mortali in corso di immersioni ricreative è costante attestandosi a circa 2 incidenti fatali ogni 100.000 immersioni.
Il Divers Alert Network identifica ogni anno più di 1.000 infortuni legati all’attività subacquea, tra cui oltre il 10% sono mortali.
Principali cause di morte in corso di immersione
Annegamento
L’annegamento ovviamente avviene quando l’acqua entra nel sistema respiratorio.
Escludendo i casi di malfunzionamento dell’attrezzatura di immersione, il primum movens che porta all’annegamento è di solito la perdita di coscienza del sommozzatore che può verificarsi in diverse situazioni:
- alterazioni nocive nella miscela gassosa respirata;
- malattia da decompressione (vedi oltre);
- patologie concomitanti, di natura generalmente cardio-respiratoria (es. infarto acuto del miocardio, obesità ecc);
- alterazioni dello stato di coscienza indotte da sostanze o farmaci assunti dal soggetto prima dell’immersione;
- sincopi vaso-vagali.
La difficoltà della diagnosi risiede nel fatto che anche i corpi dei sommozzatori deceduti per altre cause spesso soggiornano in acqua per un tempo sufficiente all’ingresso di liquido nel sistema respiratorio. Particolare attenzione è quindi da porsi alla coesistenza dei segni “vitali” dell’annegamento (fungo schiumoso, presenza di acqua nello stomaco, ecc).
Malattia da decompressione
Durante l’immersione la miscela gassosa inalata si distribuisce nei tessuti; durante la risalita, se i tempi di decompressione non sono rispettati, l’equilibrio tra i gas disciolti e i tessuti (compreso il sangue) può alterarsi, portando al ritorno in fase gassosa dei componenti della miscela, in forma di bolle, nell’organismo.
Infatti, la fisica ci insegna che la quantità di gas disciolta in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas in equilibrio con il liquido, pertanto la quantità di gas inerti disciolti nel sangue e nei tessuti incrementa con l’aumentare della pressione.
Durante una risalita troppo rapida, diminuendo velocemente la pressione esterna, è possibile che si creino delle bolle di gas libero – soprattutto N2 – nei tessuti, compreso il sangue.
In considerazione del fatto che l’azoto si distribuisce facilmente nel tessuto adiposo, laddove vi sia un elevato contenuto lipidico tissutale – primo tra tutti il sistema nervoso centrale – i tessuti possono essere facilmente danneggiati.
La severità del quadro che ne deriva – la cosiddetta malattia da decompressione (decompression sickness, DCS) – può spaziare da danni locali, quali il barotrauma polmonare, all’embolia gassosa arteriosa (AGE), di solito fatale.
I danni da DCS sono generalmente ubiquitari, con coinvolgimento dei tessuti muscolari e articolari e dei sistemi neurologico centrale, audiovestibolare e vascolare; ciò può portare, oltre al danno diretto, alla perdita di coscienza con annegamento.
Il barotrauma
Nel barotrauma il danno ai tessuti è causato dall’incapacità di mantenere un equilibrio/equivalenza tra la pressione ambientale e quella delle cavità presenti nel corpo.
Tende a verificarsi durante la risalita troppo rapida e colpisce principalmente l’orecchio interno e i seni paranasali, ma può anche causare danni polmonari (pulmonary barotrauma, PBt).
Il PBt è rappresentato da una rottura acuta delle pareti alveolari che permette all’aria di entrare nei vasi polmonari o nel tessuto interstiziale e di diffondersi alla pleura, al mediastino o ai tessuti sottocutanei.
Se il barotrauma raggiunge le arterie polmonari e l’aria raggiunge le sezioni sinistre del cuore, si può verificare la cosiddetta embolia gassosa arteriosa (AGE) la cui entità è proporzionale alla profondità massima, alla durata dell’immersione e alla rapidità della risalita.
Attenzione perché le trasformazioni post mortali, soprattutto nei soggetti immersi in acqua, possono indurre artefatti gassosi intracadaverici, potenzialmente simulatori di AGE pre mortale.
Anche le manovre rianimatorie (compressioni toraciche, ventilazione a pressione positiva) possono indurre alterazioni (enfisema) che possono imitare il barotrauma.
Edema polmonare da immersione
L’edema polmonare da immersione (immersion pulmonary edema, IPE) è un termine “ombrello” che comprende sia l’edema polmonare dei subacquei (scuba divers’ pulmonary edema, SDPE) che l’edema polmonare indotto dal nuoto (swimming-induced pulmonary edema, SIPE).
Entrambe queste condizioni condividono sintomi, diagnosi e trattamento dei sopravvissuti, differenziandosi per quanto riguarda l’occasione di presentazione (immersione vs nuoto). Si tratta di condizioni che nella maggior parte dei casi si risolvono autonomamente o dopo terapia medica, ma che tendono a recidivare.
La fisiopatologia di entrambe non è completamente chiarita ed è probabile che siano sottodiagnosticate, poiché il quadro post mortem (edema polmonare, espettorato schiumoso nelle vie aeree) è talmente aspecifico da essere condiviso anche con altre condizioni (annegamento, prolungati sforzi rianimatori).
I dati epidemiologici suggeriscono che, tra le cause favorenti l’insorgenza di SDPE, vi siano la temperatura fredda dell’acqua, uno sforzo fisico strenuo e condizioni individuali tra le quali età avanzata, patologie cardiache, scarso allenamento, ipertensione arteriosa, asma; tuttavia l’IPE – anche in forma letale – è stata osservata anche in soggetti apparentemente sani, anche molto allenati.
Perché l’edema polmonare
Ciò che si ipotizza è che in corso di immersione lo sforzo fisico aumenti la resistenza vascolare periferica, causando un aumento del post-carico, nonché un aumento della pressione dell’arteria polmonare, della pressione di incuneamento dell’arteria polmonare e del pre-carico a causa della ridistribuzione del sangue dai vasi periferici a quelli toracici, che aumenta ulteriormente in caso di immersione in acqua fredda come mezzo di preservazione del calore corporeo.
Lo shunt del sangue nella cavità toracica porta a un incremento della pressione idrostatica nei capillari polmonari. L’aumento del pre-carico, del post-carico e della pressione idrostatica può causare la rottura dei capillari polmonari con conseguente edema polmonare ed emottisi.
Vi rimandiamo alla lettura degli articoli linkati nel testo nel caso in cui vogliate approfondire i risvolti più tecnici di questi casi, la cui complessità di lettura è legata in primo luogo all’ambiente in cui avviene la fatalità, non “fisiologico” per la vita umana.