Abstract
Porsi interrogativi etici è essenziale come non mai nell’ambito dell’endocrinologia riproduttiva e della procreazione medicalmente assistita (PMA): se ci pensiamo, questo è infatti l’unico campo della medicina che si occupa letteralmente della creazione della vita umana.
La redazione di SIMLAWEB vi propone la lettura di un articolo del gruppo del prof. Norbert Gleicher, gotha della PMA e direttore del Center for Human Reproduction di New York, pubblicato sul Journal of Assisted Reproduction and Genetics nel 2022, nel quale si discute di alcuni aspetti etici della PMA, compresi i fenomeni della sua industrializzazione e mercificazione.
Per leggere l’intero articolo CLICCA QUI (von Schondorf-Gleicher A et al. Revisiting selected ethical aspects of current clinical in vitro fertilization (IVF) practice. Journal of Assisted Reproduction and Genetics (2022) 39:591–604)
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Il 25 luglio 1978 il mondo celebrava la nascita del primo “test-tube baby”.
A oltre 40 anni dagli albori di quella che era inizialmente una procedura sperimentale con outcome estremamente limitati, la PMA è oggi un settore medico clinicamente ultra-specialistico ed economicamente vantaggioso.
Secondo il parere del prof. Gleicher, tre sono gli aspetti che sono emersi nel corso del tempo e che meritano un’attenzione particolare:
- Per quanto la fecondazione in vitro (FIV) sia nata come un insieme di tecniche strettamente mediche per la cura dell’infertilità, negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo tentativo di prolungare la durata della vita fertile femminile attraverso tecniche di “crioconservazione pianificata” degli ovociti; questa non può essere identificata tout-court come strumento medico, ma ha assunto sempre più una motivazione sociale.
- Le tecniche di FIV sono diventate sempre più “industrializzate” e si è verificata una sostanziale “mercificazione” di queste a causa di crescenti interessi finanziari estranei all’ambito medico.
- Sotto la spinta della mercificazione della FIV, a partire dal 2010 si sono sviluppate e sono state proposte alle coppie infertili tecniche cosiddette “add-on”, vale a dire una serie di procedure per lo più non scientificamente validate, e quindi dotate di scarsa efficacia, le quali sono ritenute responsabili del calo a livello mondiale del tasso dei nati vivi da FIV, con una inversione del trend di efficacia complessiva delle tecniche di PMA, che ha raggiunto attualmente i livelli della metà degli anni ‘90.
Soffermiamoci ora su alcuni degli aspetti argomentati nell’articolo.
Industrializzazione e mercificazione della Procreazione Medicalmente Assistita
Si definisce “industrializzazione” della PMA l’evoluzione da un modello fondato su centri clinici pubblici o privati, spesso di piccole dimensioni, ad uno ad impostazione “aziendale” in cui vi sono investitori/proprietari, talvolta corporati, e in cui sia predominante la “mercificazione” delle tecniche, vale a dire la centralità delle entrate e del profitto sull’efficacia delle tecniche stesse.
L’introduzione del prelievo di ovociti per via vaginale sotto controllo ecografico ha fatto venire meno la necessità di un ambiente ospedaliero per eseguire la FIV e ne ha permesso la pratica anche nelle strutture private, spesso addirittura ambulatoriali.
Alcuni Stati statunitensi, come il Massachusetts e l’Illinois, hanno visto nascere all’inizio degli anni 2000 i primi centri di PMA privati e sono considerati i precursori dell’industrializzazione e della mercificazione di queste pratiche.
Con le compagnie di assicurazione sanitaria che, attraverso le loro reti di cliniche convenzionate, da quel momento in poi hanno iniziato a determinare il flusso di pazienti, la competizione tra i centri di FIV è radicalmente cambiata spostando il proprio focus dai risultati di efficacia per ciclo di PMA all’entità dei rimborsi offerti ai pazienti dalle polizze assicurative.
Anche in Europa gli investitori hanno immesso grandissime quantità di denaro nelle cliniche di PMA, così come in Australia e Nuova Zelanda dove l’intero mercato della FIV è in mano a non più di tre potenti corporazioni di investitori che hanno visto “big money in infertility“.
La ‘Fine dell’orologio biologico’
Esistono casi eclatanti a dimostrazione di come i processi – rapidissimi – di industrializzazione e mercificazione della PMA debbano destare reali preoccupazioni, quantomeno nella comunità medica.
Tra tutti, un esempio. Come riportato da ‘Forbes’, il potentissimo imprenditore Martin Varsavsky nel 2016 lanciò – con un budget di 200 milioni di dollari – la compagnia ‘Prelude’: una “compagnia focalizzata sulle cure proattive della fertilità nata con lo scopo di aumentare le chance delle persone di avere bambini sani quando si sentono pronte” attraverso un processo in 4 step: 1) preservazione della fertilità attraverso la crioconservazione dei gameti al picco di fertilità (tra i 20 e i 30 anni di età); 2) scongelamento dei gameti e creazione di embrioni in laboratorio quando i clienti sono pronti ad iniziare una famiglia; 3) screening genetici, con i quali gli embrioni sono testati per anomalie cromosomiche e mutazioni genetiche; 4) embrio-transfer.
‘Prelude’ – e tante altre società analoghe – in sostanza hanno la finalità di sostituire il concepimento “tradizionale” con tecniche avanzate, estremamente costose ed invasive, proposte a persone tendenzialmente sane, che potrebbero in tal modo pianificare le scelte procreative indipendentemente dalla propria età, raggiungendo lo scopo di fermare il famigerato ‘orologio biologico’.
Outcome delle tecniche di PMA nel tempo
A fronte di questa impressionante immissione di denaro nel campo della PMA a livello globale, il tasso di successo per ciclo, definito come il rapporto di nati vivi per ciclo di fecondazione in vitro, è inizialmente migliorato – dagli anni Novanta fino al 2001-2002 – per poi subire un lieve declino tra il 2003 e il 2007.
In seguito si è verificato un nuovo picco di efficacia nel 2008, con successivo plateau fino al 2010, anno in cui è iniziato un nuovo e questa volta stabile declino, particolarmente marcato tra il 2013 e il 2016.
Tassi di nati vivi da tecniche di PMA autologa negli Stati Uniti nel periodo 1995-2016.
Il progressivo decremento registratosi a partire dal 2010 è risultato contestualmente associato ad un aumento dei costi medi per ciclo e – inevitabilmente – a una riduzione della soddisfazione dei pazienti.
Analoghi trend si sono osservati anche in altre regioni del mondo, inclusi il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e soprattutto il Giappone.
Sorprendentemente, questa evoluzione non ha generato clamore nella comunità scientifica né nei report diffusi pubblicamente, nonostante le percentuali di successo delle tecniche di PMA nel 2016 siano effettivamente scese a livelli che non si vedevano dal 1998 (dati del Centers for Disease Control and Prevention, 2016).
Possibili cause del calo globale dell’efficacia delle tecniche di PMA
Gleicher e colleghi sottolineano come il significativo sovrapporsi delle recenti tecniche “add-on” ai percorsi di FIV scientificamente validati possa aver “diluito” l’efficacia globale della PMA.
Esempi di tecniche “add-on”.
Da Gleicher N et al. Worldwide decline of IVF birth rates and its probable causes. Human Reproduction Open, pp. 1–7, 2019
Oltre alla perdita di chance di realizzare una gravidanza in tempi brevi, le “add-ons” sarebbero in alcuni casi anche potenzialmente dannose in previsione di successivi cicli di PMA se usate indiscriminatamente, non essendo note non solo la loro efficacia ma anche la loro reale sicurezza, soprattutto in caso di età avanzata e/o ridotta riserva ovarica.
Ulteriori potenziali concause del calo dei tassi di natalità da PMA sono inoltre probabili. Ad esempio, è documentato che l’età media delle pazienti che accedono ai centri di fecondazione in vitro è aumentata nel tempo, e ciò chiaramente porta alla riduzione della quota di coppie con buona prognosi sul totale.
Ciò tuttavia evidenzia ulteriormente la pericolosità dell’uso delle tecniche “add-on”, che sono particolarmente inefficaci proprio nei casi a prognosi povera, come le donne con scarsa riserva ovarica.
Come si potrebbe tentare di arginare l’esecuzione delle tecniche “add-on”, inefficaci e non scientificamente validate, in ambito italiano?
Sicuramente un primo importante passo potrebbe essere la revisione delle Linee Guida sulle indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
La loro ultima versione risale infatti all’ormai lontano 2015, con pubblicazione in G.U. Serie Generale , n. 161 del 14 luglio 2015, e non sono mai state implementate in una forma che ne consentisse la pubblicazione sul Sistema Nazionale Linee Guida, lasciando di fatto ampio margine discrezionale sull’indicazione dei percorsi diagnostico-trattamentali da seguire, soprattutto nel settore privato, con sostanziale disomogeneità di qualità e, di conseguenza, di outcome nelle prestazioni proposte sul territorio nazionale.
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