Chi fra i lettori può vantare capelli bianchi nella propria chioma sa bene quale fu, negli anni 70, l’effetto deflagrante della vicenda del massacro del Circeo.
Per i più giovani, che non hanno vissuto quella stagione tanto oscura della storia italiana, ripercorriamo oggi quei fatti che, per quanto dolorosi, non possono essere dimenticati perché è da qui che ha preso vita anche in Italia il movimento contro la violenza sulle donne, universalmente celebrato il 25 novembre.
I fatti
E’ il 29 settembre del 1975, quando due giovani donne, Rosaria Lopez, di 19 anni, e Donatella Colasanti di 17 anni, accettano l’invito di due ragazzi “per bene”, educati e ben vestiti, per passare la serata ad una festa a Lavinio.
Quei “bravi ragazzi”
I “bravi ragazzi” appartengono a famiglie della borghesia romana. Angelo Izzo, 20 anni, è uno studente di medicina e figlio di un ingegnere, mentre Gianni Guido, 19 anni, è uno studente di architettura.
In verità non si tratta proprio di bravi ragazzi.
Izzo ha precedenti penali: nel 1973, insieme ad Andrea Ghira, il terzo protagonista del massacro, ha compiuto una rapina a mano armata per la quale entrambi hanno scontato venti mesi nel carcere di Rebibbia. Izzo, un anno prima del Circeo, ha violentato due ragazzine insieme a due amici ed è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione, mai scontati.
Evidentemente Rosaria e Donatella nulla sanno di tutto questo quando salgono sulla Fiat 127 bianca.
Comprendono che qualcosa non sta andando nel verso giusto quando l’auto, anzichè raggiungere Lavinio, le conduce ad una grande villa a San Felice Circeo dove ad attenderle trovano Andrea Ghira. L’abitazione è Villa Moresca, dell’abbiente famiglia Ghira.
L’orrore: la villa
Ben presto la drammatica situazione in cui Donatella e Rosaria sono finite loro malgrado comincia a delinearsi: dalle avances all’offerta di soldi in cambio di prestazioni sessuali si passa ben presto alle minacce e alla violenza. Donatella e Rosaria vennero spogliate, picchiate, seviziate. Ghira si finge un membro della banda criminale dei Marsigliesi che lo avrebbe incaricato di rapirle.
«Da qui non uscirete vive», minacciano gli altri due.
Da quel momento le due giovani vivono 36 lunghe ore di terrore, violenza, torture ed abusi: in altre parole l’inferno.
Dapprima vengono chiuse insieme in un bagno cieco, spogliate di alcuni indumenti e di tutti gli effetti personali che ne possano consentire il riconoscimento.
Rosaria viene poi trascinata al piano di sopra dove Ghira la chiude in un altro bagno e qui la violenta e la uccide. Di lei Donatella sente le urla, seguite da un agghiacciante silenzio.
Dall’autopsia effettuata dal prof. Merli sul corpo di Rosaria si scoprirà che la causa della morte è stato l’annegamento ma, arriverà pure la conferma della violenza sessuale.
L’orrore: l’auto
Dopo l’omicidio di Rosaria, Guido si assenta giusto il tempo per una cena in famiglia, per poi tornare a Villa Moresca e unirsi di nuovo al “festino”. In un momento di distrazione dei suoi aguzzini, Donatella riesce a raggiungere un telefono e a digitare il numero della polizia, ma viene scoperta. Tentano di strangolarla con una cintura, poi su di lei si abbattono i colpi di una spranga di ferro. Donatella a quel punto capisce che l’unica via d’uscita è fingersi morta.
“C’è un gatto che miagola dentro una 127 in viale Pola“.
E’ il 30 settembre 1975 quando, nel silenzio della sera, un metronotte avverte degli strani rumori – che fanno pensare al miagolio di un gatto – provenire da un’auto in sosta in via Pola a Roma.
L’uomo ne informa le forze dell’ordine e, poco dopo, giunge sul posto una volante, seguita da un fotografo che ha intercettato la segnalazione. La bauliera dell’auto, una 127 bianca, viene aperta e il fotografo ferma in un’immagine le terribili condizioni in cui versa una giovane donna che, disperata, cerca di uscire dallo spazio angusto del porta bagagli. E’ Donatella Colasanti. I grandi occhi sbarrati, il volto tumefatto e insanguinato, il corpo nudo, in parte avvolto in una coperta.
Accanto a lei il cadavere, anch’esso privo dei vestiti, di Rosaria Lopez.
Da donna a donna …
Con il ritrovamento di Donatella Colasanti, ancora viva nonostante le sevizie subite, si apre una delle fasi processuali più clamorose della storia italiana. A difendere i diritti della donna, insieme all’avvocato Fausto Tarsitano, è un’altra donna, Tina Lagostena Bassi, nota nei tribunali italiani come uno dei principali e più agguerriti avvocati per la difesa dei diritti delle donne.
Sarà ancora lei nel 1978 che difenderà Fiorella nel processo per gli stupri di Nettuno, il primo processo per violenza carnale ad essere video registrato. Dal filmato sarà tratto il documentario Processo per stupro poi trasmesso dalla RAI.
Di Tina Lagostena Bassi sono celebri le arringhe in cui, con termini asciutti, descrive la violenza subita dalle sue assistite rompendo così il muro di omertà esistente nella società e nel mondo dei tribunali sulla questione della violenza sessuale.
In linea con il suo impegno per le cause femminili è stata una delle fondatrici del Telefono Rosa.
Le condanne e il folle destino dei colpevoli
La sentenza di primo grado arriva nel 1976 con condanna all’ergastolo dei tre aguzzini.
Gianni Guido e Angelo Izzo vengono incarcerati, ma non è per sempre.
Gianni Guido si dichiara pentito ed offre un lauto risarcimento alla famiglia di Rosaria. Ciò vale ad ottenere una riduzione di pena a trent’anni. Nel 1981 fugge in Sudamerica dove vive fino al 1994 quando viene rintracciato ed estradato in Italia. Resta in carcere fino al 2009 quando, grazie all’indulto, torna ad essere un uomo libero.
Angelo Izzo ottiene la semilibertà nel 2004. L’anno successivo è responsabile del rapimento e dell’omicidio di 2 donne, Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, rispettivamente moglie e figlia di Giovanni Maiorano, un pentito della Sacra Corona Unita conosciuto in carcere. Nel 2007 Angelo Izzo riceve una nuova condanna all’ergastolo alla quale seguiranno altre sanguinose confessioni.
Andrea Ghira, fuggito prima del processo, è condannato in contumacia. Si saprà poi che ha vissuto in Spagna sotto falso nome. Nel 1994 giunge da Melilla (Marocco) la notizia della sua morte per overdose, confermata nel 2005 dai test del DNA effettuati dopo la riesumazione del cadavere.
Dalla tragedia alla speranza per tutte le donne italiane
Donatella Colasanti, sopravvissuta a quella notte degli orrori, ha vissuto senza riuscire a rassegnarsi al fatto che, uno dei suoi aguzzini e assassino della sua amica Rosaria, sia morto senza aver mai trascorso un giorno in prigione.
Donatella è morta il 30 dicembre 2005, uccisa da un tumore al seno che, come ha dichiarato il padre in un’intervista al Corriere della Sera, l’ha liberata da un incubo che ha continuato ininterrottamente a rivivere per trent’anni.
Il massacro del Circeo è, senza dubbio, una delle pagine più nere della cronaca italiana ma, al di là dell’orrore, resta la forza di Donatella che fino all’ultimo respiro ha lottato per sé, per Rosaria e per tutte le donne vittime di violenza.
I riflessi del massacro del Circeo sulla società
Il processo del massacro del Circeo non è infatti valso solo a fare giustizia ma è servito a scuotere le fondamenta di un Paese che ancora considerava lo stupro un’offesa alla pubblica morale e non un crimine contro la persona, esercitando così il proprio peso nel lentissimo percorso di revisione normativa a difesa dei diritti delle donne.
Verso Leggi più giuste
Si pensi che, dopo l’entrata in vigore della nostra Costituzione e, in particolare dell’art. 29 che proclama la “eguaglianza morale e giuridica dei coniugi”:
– solo nel 1956 la Corte di Cassazione ha stabilito che non spettava al marito lo jus corrigendi (art. 571 c.p.) nei confronti della moglie e dei figli, ossia il potere educativo e correttivo del pater familias che comprendeva anche la coazione fisica;
– solo tra il 1968 e il 1969 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 559 del codice penale che puniva unicamente l’adulterio della moglie;
– solo nel 1975 il nostro ordinamento giuridico ha sostituito la famiglia strutturata gerarchicamente con il modello di famiglia paritaria;
– solo dopo la legge n. 442 del 5 agosto 1981, che ha abrogato la rilevanza penale della causa d’onore, la commissione di un delitto perpetrato per salvaguardare l’onore proprio e della propria famiglia (art. 587 c.p.) non è più sanzionabile con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso movente, cancellando così il presupposto che l’offesa all’onore arrecata da una condotta “disonorevole” costituisca una provocazione gravissima tanto da giustificare la reazione dell’“offeso”;
– sempre dopo l’entrata in vigore della legge del 1981 è stato cancellato dal nostro ordinamento l’istituto del “matrimonio riparatore” (art. 544 c.p.), che prevedeva l’estinzione del reato di violenza carnale nel caso in cui lo stupratore di una minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando così l’onore della famiglia;
– solo nel 1996, dopo circa vent’anni di iter legislativo, finalmente approvata la legge n. 66 che, stabilite le “Norme sulla violenza sessuale”, trasferisce questo reato dal Titolo IX (Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume) del codice penale al Titolo XII (Dei delitti contro la persona).
La medicina legale italiana e Simla nella lotta contro la violenza sulle donne
Pare inutile ancora una volta affermare quanto siano rilevanti i rilievi medico-legali per portare avanti una lotta in fase giudiziaria contro la violenza sulle donne.
Siamo davvero in prima linea quando pensiamo a quanto possono essere di primaria importanza in termine di rilievo scientifico durante l’attività di indagine e nei i processi: dalle indagini sulle lesioni patite sia sui soggetti sopravvissuti a quelle che hanno, purtroppo, minore fortuna e che sono decedute, da quelle sull’identificazione dei possibili colpevoli attraverso gli accertamenti genetici, dagli esami tossicologici per identificare sostanze che privano della o alterano la coscienza e, infine, la valutazione del danno biologico subito dalle vittime.
E credendo di interpretare il sentimento di tutti Soci di Simla e di tutti i medici legali italiani, il sito ufficiale della Società, si è da anni soffermato a salutare la giornata del 25 novembre e non hai smesso di ricordare il grandissimo numero di attività scientifiche e di incontri promossi per contrastare il fenomeno in cui siamo, purtroppo, spesso protagonisti con la nostra specifica professionalità ed esperienza.
E per finire, non possiamo dimenticare, quante Colleghe in servizio e in formazione, lavorano e operano in questo campo. E’pensando al loro impegno che Simla vuole salutarle, abbracciarle e dire a tutti che la Simla c’è e ci sarà sempre: contro la violenza e, oggi, in modo sempre più convinto, contro la violenza sulle donne.