Abstract
La drammatica cronaca di un illustre paziente e di una morte annunciata.
Riprendendo il nostro viaggio sulle patologie che hanno inesorabilmente segnato la vita di alcuni grandi musicisti, ripercorriamo la drammatica vicenda di Frederic Chopin, il celeberrimo compositore polacco costretto a condividere la sua breve esistenza con “il mal sottile”.
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A partire dal XVII secolo, quando l’epidemia di tubercolosi investe l’Europa intera, la Grande Peste Bianca trova nell’alta densità abitativa e nelle pessime condizioni igieniche di molte città fattori favorenti per una massiva diffusione. Il timore per il contagio è molto forte ed anche gli anatomisti si rifiutano di effettuare autopsie sui pazienti che risultino affetti da “consunzione”. Già nel 1650 la tubercolosi diventa la principale causa di decesso e morire di tubercolosi è considerato inevitabile.
D’altro canto il trattamento della tubercolosi fino alla fine del XIX secolo consiste essenzialmente in una combinazione di riposo, buona alimentazione, miscele per la tosse contenenti comunemente oppio, salassi (fino a 250 ml due o tre volte due alla settimana), emetici, lassativi, nonchè mercurio o antimonio. Per chi ne ha le possibilità c’è la prescrizione di soggiorni in regioni con clima mite ed in zone termali. Armi dunque ben poco efficaci per una patologia tanto severa.
Non va poi dimenticato che, non di rado, i medici sulla piazza sono dei veri e propri ciarlatani e che pure quelli qualificati sono propensi a negare la diagnosi fino a quando la malattia non ha raggiunto una forma molto avanzata, a volte ignorando i sintomi fisici più evidenti. Ciò non deve sorprende poiché una tale diagnosi poteva avere conseguenze negative sulla posizione sociale ed economica del paziente.
E queste non risparmieranno neppure un personaggio illustre come Frederic Chopin.
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Frederic Chopin
Fryderyk Franciszek Chopin nasce a Zelazowa Wola, vicino a Varsavia, il 22 febbraio 1810. Ha tre sorelle e una di esse muore di tubercolosi quando lui ha 17 anni. È stato ipotizzato che il repentino decesso di Emilia, a pochi mesi dall’inizio della malattia, sia stato accelerato dai trattamenti medici grossolani che le furono praticati. Probabilmente sarà il ricordo di questo episodio, e delle inutili sofferenze patite dalla sorella, a segnare l’approccio di Chopin alla malattia quando, alcuni anni più tardi ne risulterà affetto.
È nel 1815 a Parigi che Chopin ha il primo episodio di emottisi. All’epoca condivide l’alloggio con il dott. Jan Matuszynski, suo amico d’infanzia. Matuszynski deve essersi accorto che la salute dell’amico non è buona perché gli consiglia periodi di soggiorno in zone termali e riposo in campagna. Sembra che già da quel momento Chopin si sia adoperato per una accurata valutazione del proprio stato di salute, consultando diversi medici di Parigi, senza però ricevere specifiche indicazioni. Dopo solo alcune settimane di riposo a letto, Chopin riprende la sua vita frenetica, fatta di composizione, insegnamento e concerti.
Durante l’epidemia di influenza nell’inverno del 1836, Chopin manifesta nuovamente emottisi. Consulta il dottor Pierre Gaubert, un allopatico locale e amico di George Sand. Gaubert, dopo una visita, esclude che si tratti di tisi, prospettando una “semplice” bronchite.
Il dott. Gaubert consiglia a Chopin il clima mite del sud dell’Europa. Così Chopin si trasferisce con George Sand a Palma di Maiorca. Contrariamente alle aspettative i sintomi respiratori di Chopin peggiorano: la casa in riva al mare non è riscaldata e i fumi del braciere non aiutano la tosse. Sono necessari nuovi consulti medici e questa volta ben tre medici confermano la diagnosi di tubercolosi polmonare, consigliando salassi e cerotti vescicatori, che Chopin rifiuta. Chopin è costretto alla quarantena e, nel suo isolamento, nonostante la mancanza di un pianoforte adeguato – il piano Pleyel arriverà giusto alcuni giorni prima della fuga dall’isola – compone l’Opera 28 e scrive 24 preludi. La notizia della patologia contagiosa si diffonde rapidamente fra la popolazione dell’isola, che reagisce malamente. Tutti evitano di avere contatti con la coppia che è costretta a trasferirsi in una villa nelle campagne, a diversi chilometri dal mare. La loro vita è resa ogni giorni più difficile, con i prezzi degli alimenti che per loro si fanno sempre più cari. Ben presto anche il proprietario della villa chiede alla coppia di andarsene quanto prima, addebitando a Chopin le spese di sanificazione della casa. I due trovano rifugio nel monastero di Vallemosa – dove oggi ha sede un museo dedicato a Chopin – per il tempo necessario ad organizzare il viaggio di rientro, anche questo non certo facile.
La coppia deve raggiungere il porto a bordo di un carro perchè nessuno osa affittare loro una carrozza. Durante il viaggio Chopin fa tappa a Barcellona e nel costo dell’albergo gli viene addebitato il letto che, per disposizioni dell’autorità, deve essere bruciato.
Una volta in Francia gli viene consigliato di non far rientro a Parigi ma di rimanere nelle regioni del sud. La persistente sintomatologia polmonare lo costringe a richiedere nuovi consulti medici, con alterni risultati.
A Nohant, è il dottor Gustave Papet a visitarlo. Il medico lo rassicura perché, a suo parere, non si tratta certo di tubercolosi ma di una laringite cronica. Rinfrancato dalla nuova diagnosi nel 1839 Chopin fa rientro a Parigi dove riprese l’insegnamento, per quanto le sue condizioni di salute non siano affatto buone. È debole, pallido e continua a tossire nonostante l’assunzione di oppiacei. Nei 5 anni che seguono gli attacchi di febbre sono frequenti, la tosse peggiora e le emottisi sono ricorrenti.
In seguito alla fine della relazione con George Sand, la salute di Chopin si deteriora ulteriormente, ma egli continua a comporre e a dare concerti. A causa della sua cattiva situazione finanziaria e dello scoppio dell’insurrezione di febbraio del 1848, è incoraggiato a lasciare Parigi per Londra e la Scozia, accompagnato dalla sua studentessa, Jane Stirling, e da sua sorella. Durante il viaggio conosce Dickens e tiene diversi concerti, uno dei quali alla presenza della Regina Vittoria.
A Londra consulta altri medici, ma ottiene ben pochi consigli e nessun sollievo. A visitarlo è anche il medico della regina, il dott. Clark, che gli prescrive riposo e un immediato rientro a casa. Chopin disattende le indicazioni del medico poichè le necessità economiche gli impongono di proseguire il tour: ovunque ci sono amici ed ammiratori ad attenderlo.
Lo sforzo per i concerti è però per lui sempre più grande ed il clima inglese insopportabile. Chopin è sempre più magro e debilitato, costantemente squassato dalla tosse. Per il suo metro e settanta ora pesa solo 45 kg.
Al suo ritorno a Parigi, nell’autunno del 1949, si rivolge disperato ad altri medici ma ben presto si trova a dover dire: “Tutti mi tastano, tutti mi palpano, ma nessuno mi può aiutare… “. Infine, a soli 4 mesi dalla sua morte, si rivolge al dottor Jean Cruveilhier, il maggior esperto francese di tubercolosi, che non ha dubbi sull’origine tubercolare dei suo problemi di salute. Ma ormai è davvero troppo tardi per poterlo aiutare. Chopin è ridotto pelle e ossa, la tosse e la dispnea non lo abbandonano più, ha diarrea ricorrente e edema alle caviglie. Da domenica 16 ottobre Chopin è allettato e nella sua casa in Place Vandome è un via vai continuo dell’Alta Società parigina che viene a rendere omaggio al grande compositore: a differenza di Mozart, morto nella più triste solitudine, l’imminente trapasso di Chopin diventa un imperdibile fatto mondano!
Chopin, a soli 39 anni, si spegne alle 2,30 del 17 ottobre 1849, con il dott. Cruveilhier, la sorella Ludwicka e alcuni amici al suo capezzale.
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Post-mortem
«La terra è soffocante… Giurate di convincerli a tagliarmi, in modo che non venga sepolto vivo…» dice Chopin ad una delle sorelle sul letto di morte.
Nel rispetto della sua volontà il corpo è sottoposto ad autopsia che è eseguita dallo stesso dottor Cruveilhier tre giorni dopo la morte. Il manoscritto con la descrizione dell’attività autoptica non è mai stato ritrovato, probabilmente distrutto nel grande incendio di Parigi del 1871.
Alcune informazioni sull’esito dell’autopsia sono contenute nel carteggio di Jane Stirling con Franz Liszt, in cui cita il dottor Cruveilhier secondo il quale “… l’autopsia non ha rivelato la causa della morte… tuttavia non avrebbe potuto sopravvivere… diverse patologie… cuore ingrossato… non hanno rivelato una tisi polmonare…”. In realtà le parole della Stirling devono essere guardate con prudenza poichè è possibile che la donna abbia fornito una diversa versione di quanto effettivamente riferitole dal medico, e ciò nel timore che si potesse pensare che lei e i membri della famiglia potessero essere affetti da tubercolosi.
In ogni caso pare che si sia trattato di una autopsia solo parziale, limitata alla sola dissezione del torace. Il corpo è poi imbalsamato ed esposto nella cripta della chiesa di Sainte Marie Madeleine per l’estremo saluto. Il funerale è celebrato a ben 13 giorni dalla morte: 13 giorni sono infatti necessari per ottenere l’autorizzazione all’ingresso in chiesa delle donne – allora proibito – le cui voci erano necessarie per intonare il Requiem di Mozart, eseguito per espresso desiderio di Chopin dall’Orchestra e dal Coro del Conservatorio di Parigi. L’organista Lefebure-Wely esegue inoltre i due preludi dell’op. 28 (il n. 4 ed il n. 6). Infine la Marcia funebre della seconda sonata per pianoforte ne accompagna la sepoltura.
Il corpo di Chopin riposa nel cimitero Père-Lachais di Parigi fra la la tomba di Bellini e quella di Cherubini. Per ironia della sorte la scultura funebre posta sulla tomba è scolpita dal marito di George Sand, Clesinger, che realizza anche la maschera funebre e il calco delle mani, oggi entrambi conservati al museo Chopin di Varsavia.
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Il cuore di Chopin
A riposare nella tomba del Père-Lachaise non è il cuore del compositore. Dopo l’esame autoptico l’organo è infatti deposto in un barattolo di cognac che è affidato alla sorella Ludwika. Superate di nascosto le guardie russe (all’epoca la Russia governava la Polonia), la reliquia giunse fino a Varsavia dove è deposta in una colonna della Chiesa di Santa Croce.
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Durante la rivolta di Varsavia del 1944, il contenitore con il cuore di Chopin è preteso da un ufficiale di alto rango delle SS che si dichiara un suo grande ammiratore. Conservato nella sede generale dell’alto comando tedesco, il barattolo è restituito alla chiesa di provenienza solo alla fine della seconda guerra mondiale.
Nel 2017 alcuni scienziati polacchi hanno avuto la possibilità di prendere visione del barattolo e di esaminarlo, senza però poterlo aprire. Le risultanze della loro indagine sono state illustrate in un articolo pubblicato alcuni anni più tardi dall’American Journal of Medicine. Secondo la descrizione degli autori l’organo è immerso in un liquido ambrato che essi suppongono cognac; è ricoperto da materiale fibroso bianco (“frosted heart”) e sono visibili piccole alterazioni nodulari della superficie che vengono interpretate come tipiche di una manifestazione tubercolare. Alla medesima origine sono inoltre ascritte alcune aree di soffusione emorragica sub-endocardica di colore arancio. Il cuore risulta inoltre recare i segni della dissezione autoptica ma è apprezzabile una notevole dilatazione del ventricolo destro.
Sono questi i riscontri in base ai quali gli autori pongono pericardite tubercolare, una rara complicanza della tubercolosi cronica, alla quale è da ascrivere, in ultima analisi, la morte del compositore.
Di tutt’altro avviso gli autori di una nota di commento diretta alla medesima rivista scientifica: i depositi fibrinosi sulla superficie sono ricondotti all’azione prolungata di un liquido di fissazione ad alto contenuto alcoolico, le alterazioni nodulari in sede epicardica non consentono una diagnosi della origine tubercolare in assenza di indagini istologiche e pure gli infiltrati “emorragici”, caratterizzati da una peculiare pigmentazione di colore arancio, sono interpretabili come artefatti da fissazione. Neppure valutabile l’entità della dilatazione del ventricolo destro poichè non è riportata nessuna delle misurazioni eseguibili sull’organo.
La diagnosi di pericardite turbercolare è dunque tutt’altro che confermata. Per gli addetti ai lavori resta il senso di un’indagine incompiuta, a fronte delle tante possibilità che oggi le scienze forensi possono offrire per raggiungere una diagnosi definitiva basata su elementi oggettivi. Senza modificare l’integrità dell’organo, ad esempio, esami di tipo radiologico potrebbero offrire interessanti informazioni morfologiche mentre approfondimenti di tipo genetico potrebbero essere utili anche a scrivere una parola definitiva sull’ipotesi, da più parti prospettata, secondo la quale il quadro patologico di Chopin sia da ascrivere a fibrosi cistica ereditaria da deficit di Alfa-1 antitripsina.
In verità, al di là delle opportunità che la scienza moderna è in grado di offrire, molti sono gli elementi ricavabili dalla puntuale ricostruzione storica della vita di Chopin a supporto della ricorrenza di una tubercolosi polmonare, verosimilmente contratta dal compositore in età giovanile, ovvero all’epoca della malattia e della morte della sorella Emilia. In una tale prospettiva ciò che colpisce è la lunga sopravvivenza di Chopin a questa patologia, molti decenni prima che Koch, nel 1882, ne identificasse l’agente patogeno. Alcuni studiosi sono propensi a ritenere che il merito, in tal senso, vada riconosciuto alle condizioni agiate di Chopin, con la possibilità di ricorrere costantemente a consulti medici, di poter soggiornare in ambienti a clima mite, ma soprattutto, al suo atteggiamento restio a sottoporsi alle debilitanti cure del tempo che, come abbiamo modo di vedere nella vicenda clinica di Paganini, contribuivano ad accelerare l’exitus piuttosto che ad allontanarlo.
In ogni caso, così come per altri autori, il ripercorrere la storia di vita di Chopin, tanto segnata dalla malattia, conduce inevitabilmente ad interrogarsi sugli effetti che una tale condizione può aver esercitato, in positivo o in negativo, sulla sua fecondità compositiva e sul suo estro esecutivo. La nozione poi che la tubercolosi si associ a particolari capacità artistiche ha origini antiche. Per i greci era la spes phtisica e indicava una speciale energia creativa associata ad una spiccata sensibilità artistica. Forse è dunque dalla patologia tanto sofferta ad ispirare il sentire e la composizione di Chopin?
Domande per le quali non c’è risposta, così come non c’è sollievo – si è già detto a proposito di Mozart – per il profondo rammarico per una vita precocemente spenta ma che “possedeva ancora un potente potere creativo che non ha potuto essere compiutamente espresso“.
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