Abstract
Un breve articolo per ricordare quali sono i reali rischi infettivi che si possono correre nell’eseguire indagini autoptiche e nel maneggiare i cadaveri.
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“The chapter of knowledge is very short,
but the chapter of accidents is a very long one.”
Lord Chesterfield, 1694–1773
Da sempre il Medico Legale che svolge attività necrosettoria è considerato con un misto di curiosità e disgusto da chi non ha la sua stessa familiarità con i cadaveri, anche a causa delle immaginifiche rappresentazioni di cui sono state oggetto le sale settorie nelle opere letterarie o, più recentemente, cinematografiche.
Uno degli aspetti che suscita maggiore repulsione è rappresentato dalla convinzione che eseguire le autopsie sia un lavoro “sporco”, necessariamente accompagnato dalla contaminazione tra operatore e liquidi biologici e pertanto foriero di malattie infettive.
Ciò non è totalmente privo di fondamento: la camera settoria è effettivamente una potenziale fonte di rischio biologico, non solo per il Medico Legale, ma anche per chi con lui maneggia il cadavere.
A tal proposito, il declino della mortalità da infezioni acquisite nella morgue che si è verificato negli ultimi 25 anni può essere ampiamente attribuito all’incremento della consapevolezza del rischio infettivo ed alla conseguente adozione di idonee misure di sicurezza.
Pertanto è necessario non abbassare la guardia ed anzi implementare le conoscenze evidence-based sul tema. A tal proposito, vi presentiamo una delle poche review in merito quella di JL Burton (clicca qui per leggere e scaricare), pubblicata sul Journal of Clinical Pathology in epoca non recentissima (2003) ma che brilla per chiarezza di contenuti circa la necroscopia “ad alto rischio” infettivo.
Tra le infezioni più pericolose trasmissibili da cadavere vi sono quelle causate da Mycobacterium tuberculosis, HIV, HBV, HCV, e prioni responsabili di encefalopatie spongiformi trasmissibili, quali la malattia di Creutzfeldt-Jakob. Tutti questi patogeni sono particolarmente insidiosi perché mantengono una certa quota di infettività in epoca post-mortem, possono avere in vita decorsi asintomatici e non determinare reperti macroscopicamente evidenti all’autopsia.
Mycobacterium tuberculosis
La letteratura è ricca di casi storici di infezione da M. tuberculosis acquisita nella morgue. La revivescenza attuale di questo patogeno è determinata dalla persistenza della malattia nella popolazione, soprattutto nei soggetti immunodepressi, unitamente alla selezione di ceppi multidrug resistant. La forma polmonare rappresenta il 90% dei casi ed è veicolata dall’inalazione di aerosols o di polveri secche, mentre la forma cutanea (5-10% dei casi) è l’esito della penetrazione del patogeno tramite punture o lesioni cute preesistenti.
Il contatto – anche per breve tempo – con tessuti cadaverici contenenti M. tuberculosis sarebbe ancora più pericoloso rispetto all’esposizione a pazienti vivi con tubercolosi “aperta” (cioè quelli con evidenza alla microscopia diretta di bacilli tubercolari nell’escreato). Per quanto riguarda la persistenza del bacillo, esso è stato isolato da piani in vetro a 10 cm dal punto in cui era avvenuta la sezione del tessuto polmonare e da vari punti della sala settoria a 24 ore dall’autopsia.
HIV
Nonostante la sierofobia che ha investito gli operatori sanitari negli anni ’80 a seguito della diffusione dell’AIDS tra la popolazione, nella realtà l’esposizione occupazionale all’HIV è infrequente ed il rischio di sieroconversione dopo contatto con sangue sieropositivo è relativamente basso. La maggior parte dei casi di HIV da esposizione professionale sanitaria sono causati da punture. La frequenza di trasmissione dell’HIV dopo singolo inoculo percutaneo è pari allo 0.10-0.36%, mentre il rischio può essere più alto a seguito di ferita accidentale con bisturi e con aghi cavi rispetto agli aghi solidi utilizzati per le suture. Il tasso di sieroconversione dopo esposizione mucocutanea è invece pari allo 0.04-0.63%.
Per quanto attiene la trasmissione in corso di autopsia, i casi documentati sono aneddotici ed il rischio è correlato a diversi fattori (carica virale del paziente, volume di fluido inoculato, profondità della ferita e suscettibilità dell’operatore). Gli operatori di sala settoria devono tuttavia essere consapevoli che la carica virale nel sangue periferico è maggiore durante le fasi acute di malattia e nello stadio finale che porta al decesso, pertanto, essa può addirittura essere maggiore nel cadavere, qualora la causa della morte sia l’AIDS, rispetto a pazienti che in vita avevano una viremia bassa o non rilevabile grazie alla terapia. Alcuni studi hanno valutato se procrastinare l’autopsia riduca il rischio infettivo. Ciò non è stato dimostrato in quanto vari autori hanno documentato la lunga persistenza del virus nel cadavere, fino a 16,5 giorni dal decesso (Douceron 1993; Ho 1985; Nyberg 1990; Bankowski 1992). HIV non ha invece lunga vita sulle superfici, essendo inattivato dall’essicamento e dai comuni disinfettanti.
HBV e HCV
Nonostante l’alta infettività parenterale di HBV, il rischio occupazionale si è drasticamente ridotto a seguito dell’estesa copertura vaccinale. Per quanto riguarda HCV il tasso di trasmissione dopo esposizione percutanea in ambito lavorativo sanitario è pasi al 2.7-10%. Larga parte di ciò che sappiamo circa la persistenza dei virus nel cadavere lo dobbiamo – indirettamente – a Studi pubblicati in epoca più recente rispetto alla review di Burton, effettuati su cadaveri di donatori, che avevano lo scopo di validare differenti test di laboratorio per la rilevazione dei patogeni.
Per esempio, i gruppi di Edler (2011) e Meyer (2012 – vedi) hanno individuato HBV e HCV nel sangue di cadavere a 48 ore dal decesso.
Encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE)
Il rischio di infettarsi con i prioni responsabili delle TSE (inclusa la malattia di Creutzfeldt-Jakob, CJD) è considerato basso, tuttavia, bisogna ricordare che tali patogeni sono estremamente resistenti: non sono inattivati dalla formalina né dai comuni metodi fisici o chimici di decontaminazione. Il patogeno responsabile della CJD può addirittura infettare da tessuti inclusi in paraffina e sopravvivere ad altissime temperature (360°C), pertanto la sua classe di rischio biologico è alta, pari a 3.
Oltre alle infezioni finora descritte, bisogna considerare che il cadavere è fonte potenziale di altre patologie settiche, quali quelle da Streptococcus pyogenes, patogeni gastrointestinali (incluso il virus dell’epatite A), Neisseria meningitidis, e le ancor più pericolose infezioni da agenti caratterizzati da rischio biologico pari a 4 (per esempio, le febbri emorragiche virali).
Una corretta gestione dell’ambiente di sala settoria nonché del cadavere è pertanto mandatoria, non solo nella corrente emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 (per saperne di più sulla contagiosità post-mortem da nuovo coronavirus leggi qui, (vedi il nostro recente articolo su SIMLAWEB), ma anche per contrastare “vecchi” patogeni, sempre pericolosamente attuali.
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