Un aspetto poco conosciuto dalla medicina-legale: il tempo di sopravvivenza di un soggetto seppellito da una valanga. Ce ne parla la nostra Serena Curti.
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All’elenco delle domande più difficili a cui rispondere in qualità di Medici Legali potremmo ascrivere senza dubbio: quanto tempo sopravvive una vittima di valanga?
La Letteratura riporta che oltre la metà delle persone sepolte da valanghe muore entro poche decine di minuti. I dati tuttavia non sono uniformi, anche a causa della impossibilità di ricreare modelli sperimentali sovrapponibili alla realtà.
Vi proponiamo un interessante articolo pubblicato su JAMA Network Open nel 2023 – leggi qui l’intero articolo Strapazzon G et al. Comparative Effectiveness of an Artificial Air Pocket Device to Delay Asphyxiation in Avalanche Burial. JAMA Network Open. 2023;6(5):e2313376
Le cause del decesso
Tra le vittime delle valanghe il decesso è generalmente causato dall’insorgenza di una asfissia che può essere da
- soffocamento (ostruzione della pervietà delle vie aeree da parte della neve);
- spazio confinato, laddove permanga una “sacca d’aria”, vale a dire un certo volume di aria attorno alla bocca e al naso;
- insufficienza del mantice respiratorio per schiacciamento del torace da parte della massa nevosa;
- formazione di una “maschera di ghiaccio”, che si può produrre per condensazione dell’aria umida espirata che ghiaccia attorno agli orifizi respiratori, ostruendoli;
- una combinazione di questi meccanismi.
In una minoranza di casi, il meccanismo esiziale è di natura traumatica contusiva o è legato primariamente all’ipotermia prolungata.
Le curve di sopravvivenza
La curva di sopravvivenza alla valanga è una rappresentazione grafica della probabilità di sopravvivenza cumulativa durante un seppellimento completo da valanga in funzione del tempo.
La prima curva di sopravvivenza fu pubblicata nel 1994 su Nature ed è basata su dati svizzeri (immagine sotto).
Sono state identificate 4 fasi:
- 1° – ‘survival’ phase, nella quale la principale causa di morte è traumatica contusiva;
- 2° – ‘asphyxia’ phase;
- 3° – ‘latent’ phase;
- 4° – ‘long-term survival’ phase.
Nella 3° e 4° fase il decesso avviene per una combinazione di severa ipotermia, ipossia e ipercapnia.
Questa caratterizzazione dei meccanismi lesivi rispetto al tempo dall’evento ha un impatto pratico sui soccorsi; per esempio la curva quantifica l’importanza di un rapido seppellimento da parte di eventuali compagni sopravvissuti che siano in grado di muoversi, poiché le vittime che sono estratte entro i primissimi minuti hanno una possibilità di salvarsi molto alta, addirittura >90% se le condizioni sono favorevoli.
È stato anche identificato un tempo soglia, alla fine della fase asfittica (circa 35 minuti), oltre il quale senza presidi respiratori la sopravvivenza è molto improbabile (<30%).
In seguito furono condotti altri studi per verificare se vi fossero peculiarità nelle curve di sopravvivenza in relazione all’ubicazione geografica delle valanghe; questi dimostrarono che non vi erano differenze significative.
Tra questi, un articolo pubblicato nel 2016, frutto di un lavoro di collaborazione tra Austria e Svizzera, riguardò le vittime di valanghe occorse tra 2005 e 2013 nei due Stati. Furono analizzati 633 casi (333 austriaci e 300 svizzeri).
La sopravvivenza globale si attestava al 59% per i casi occorsi in Austria e al 52% per quelli in Svizzera. Le curve di sopravvivenza erano simili e mostravano un iniziale rapido declino nelle probabilità di essere estratti vivi e un secondo calo a 25-28% della probabilità di sopravvivenza quando il seppellimento durava circa 35 minuti.
Le analisi statistiche sui dati sopra citati mostravano che la mortalità incrementava con l’aumentare della durata del seppellimento e della profondità. La mortalità infatti era 18 volte più alta per seppellimenti durati da 36 a 60 minuti e 29 volte più alta per seppellimenti >60 minuti rispetto alle vittime estratte entro 15 minuti; la mortalità era quasi 5 volte più alta se seppelliti da detriti di spessore >120 cm rispetto a ≤40 cm.
Tra le vittime sepolte ≤15 min, la sopravvivenza è risultata pari al 95% in presenza di una sacca di aria attorno agli orifizi respiratori rispetto al 69% calcolato nei casi privi di aria sotto la neve (p <0,001).
Tra le vittime sepolte da oltre 15 minuti, il 67% provvisto di sacca d’aria è sopravvissuto rispetto al 4% senza (p < 0,001). Due dei tre sopravvissuti sepolti da >15 minuti senza sacca d’aria sono stati estratti entro il tempo limite di 35 minuti (20 e 25 minuti), mentre uno è eccezionalmente rimasto sepolto per 120 minuti a una profondità di 2 metri.
Gli studi sulle sacche d’aria
Come già accennato, tra i fattori principali che pesano sull’outcome delle vittime vi sono la presenza e il volume delle eventuali sacche d’aria.
Negli ultimi decenni sono stati condotti numerosi studi sperimentali volti a valutare quanto indossare dispositivi a sacca d’aria artificiale (Artificial air pocket devices, AAPD), progettati per separare l’aria espirata da quella inspirata e quindi rallentare l’ipossia, potrebbe aumentare le possibilità di sopravvivenza dei valangati, consentendo ai soccorsi tempi di disseppellimento più prolungati.
In un lavoro del 2000, i partecipanti – sepolti in posizione seduta – hanno mantenuto un’ossigenazione adeguata fino ad un massimo di 60 minuti respirando in un AAPD, mentre nei soggetti del gruppo di controllo (senza AAPD) la prova è stata interrotta molto prima (dopo circa 10 minuti).
In un altro studio sperimentale simile, il tempo di stabilità dei parametri respiratori nel gruppo portatore di AAPD ha raggiunto un massimo di 90 minuti.
In condizioni di vita reale, le persone sepolte nelle valanghe si trovano più spesso in posizione prona (45%) o supina (24%). Si ipotizza che la posizione supina possa favorire l’asfissia, limitando l’espansione della parete toracica a causa del peso della neve che grava con vettore di forza diretto in senso antero-posteriore sul torace.
Lo studio di Strapazzon e colleghi
L’esperimento è stato condotto in Valle d’Aosta, località Plan Maison, comune di Valtournenche (altitudine 2561 m), in inverno.
Lo studio indaga l’influenza della disponibilità di una riserva, benché limitata, di aria fornita da AAPD durante il seppellimento di neve in posizione supina.
Si tratta di uno studio di efficacia comparativa, nel quale i partecipanti hanno respirato nell’AAPD nel gruppo di intervento e in una sacca d’aria creata nella neve (volume 0.5 L), cui erano connessi tramite un boccaglio, senza separazione dell’aria espirata da quella inspirata, nel gruppo di controllo.
I partecipanti sono stati seppelliti sotto la neve con copertura completa di testa e torace, simulando un seppellimento critico.
La durata prevista per l’esperimento era al massimo di 60 minuti, ma questo poteva essere interrotto volontariamente dai partecipanti, tirando una corda, oppure poteva essere precocemente terminato dagli sperimentatori se si fosse verificata una delle seguenti condizioni: SpO2 <84%, end-tidal CO2 >70 mm Hg, frequenza cardiaca >150 bpm, insorgenza di aritmie o problemi tecnici ai sistemi di monitoraggio.
In tutti i casi (13 soggetti del gruppo di intervento, 12 di quello di controllo) l’esperimento è stato terminato prima dei 60 minuti.
La durata media del seppellimento è stata 10 minuti per il gruppo di intervento e 3 minuti per quello di controllo, con range rispettivamente pari a 3-57 minuti e 1-15 minuti (P =.002).
Per l’analisi dettagliata dei risultati rimandiamo alla lettura dell’articolo.
Gli airbags
Oltre agli AAPD, esistono anche altri devices di sicurezza, come gli avalanche airbags; questi ultimi cercano di prevenire il seppellimento, ma non aumentano la sopravvivenza una volta che il soggetto è stato seppellito.
L’utilizzo degli airbags unitamente agli AAPD potrebbe essere la chiave per ridurre drasticamente la mortalità da valanga, come raccomandato nelle linee guida della Wilderness Medical Society per la prevenzione e la gestione degli eventi valanghivi.
Appare fondamentale che il Medico Legale che si trovi a intervenire in caso di vittime della montagna conosca i meccanismi lesivi e la stima dei tempi di sopravvivenza, anche in funzione dell’attrezzatura tecnica indossata dai coinvolti, al fine di fornire elementi utili e corretti alle eventuali indagini.
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