Abstract
Per molti richiamare alla mente l’immagine di Beethoven significa evocare la folta chioma leonina che incornicia il truce e fiero volto del compositore dipinto da Joseph Karl Stieler nel 1820. Alcune ciocche di quella chioma furono separate dalle spoglie mortali del compositore ed ebbero un affascinante destino del quale vi raccontiamo in questo articolo.
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Il trapasso e le esequie
Beethoven spirò a Vienna in un tempestoso pomeriggio di marzo del 1827.
Il mattino seguente fu eseguita l’autopsia e nel pomeriggio la salma fu esposta per l’ultimo saluto. A differenza di quanto accadde per altri compositori, (vedi gli articoli dedicati a Mozart e Paganini) Beethoven ricevette un imponente tributo e le sue esequie furono davvero fastose.
Come rispettoso omaggio Vienna si fermò per 3 giorni. Ventimila persone e centinaia di carrozze sfilarono al seguito del feretro. L’orazione funebre fu affidata al poeta Franz Grillparzer che così celebrò l’ingresso nell’immortalità di Beethoven: “per questo sono sempre esistiti poeti ed eroi, cantori e illuminati di Dio: che verso di loro si volgano i miseri mortali in rovina, memori della loro origine, e della loro meta“.
A colonna sonora del solenne tributo furono eseguiti gli Equali per ottoni trascritti per coro sulle parole del Miserere e, in due messe a suffragio, il Requiem di Mozart e quello per voci miste di Cherubini.
La salma fu quindi sepolta nel cimitero di Wahring, a nord-ovest di Vienna dove la tomba di Beethoven fu affiancata, solo un anno più tardi, da quella di Schubert. Nel 1863 entrambi i feretri furono poi traslati nel cimitero di Simmering dove ancora oggi riposano insieme ad altri illustri musicisti: Gluck, Salieri, gli Strauss padre e figlio, Brahms, Schönberg, Ligeti.
Sulle tracce dei capelli di Beethoven
Se dunque buona parte dei resti mortali di Beethoven riposa nel cimitero dei musicisti di Vienna, diverso destino hanno avuto molte delle ciocche dei suoi capelli. Per alcune di queste, attraverso complesse ed accurate investigazioni storiche, è stato possibile stabilire il lungo percorso che, nei secoli, le ha condotte nei più disparati luoghi del mondo.
La ciocca di Anton Halm
Il pianista Anton Halm riferì che nel 1826, mentre stava lavorando con Beethoven alla Grande Fuga Op. 133, chiese al factotum del compositore, Carl Holz, di poter avere una ciocca del maestro per farne dono alla propria moglie. Nell’800 chiedere in dono una ciocca di capelli come “souvenir” non era ritenuta usanza bizzarra come potrebbe apparire oggi. Così qualche giorno più tardi, ovviamente dietro compenso, i capelli furono spediti ad Halm. Ben presto però egli ebbe modo di scoprire che si trattava di peli di capra.
Quando il lavoro di arrangiamento della Fuga fu concluso, Halm portò gli spartiti e anche la falsa ciocca a Beethoven. Il compositore, infuriato perché l’amico era stato oggetto di una vera propria truffa, si tagliò prontamente un ciuffo dalla testa e glielo consegnò, dichiarando che quello era sicuramente autentico.
Una piccola cornice ovale contenente i capelli di colore grigio-bruno donati ad Anton Halm è stata battuta all’asta da Sotheby’s nel giugno 2019 e aggiudicata per 35.000 sterline.
La ciocca di Ferdinand Hiller
Alla notizia della morte di Beethoven, amici, ammiratori e curiosi si riversarono nella Casa degli Spagnoli Neri, dove era stata allestita la camera ardente, per rendere omaggio alla salma e, nell’occasione, per procurarsi qualche ciocca-reliquia dei capelli del defunto. Tra questi era anche il giovane studente di musica, allora quindicenne, Ferdinand Hiller, giunto da Colonia per accompagnare il proprio maestro, J.N. Hummel, amico di Beethoven. Il ragazzo si accaparrò una ciocca del compositore che portò poi con sé a Parigi, ove fu racchiusa in un medaglione di vetro con cornice in legno.
Ferdinand tenne con sé il prezioso cimelio per tutta la vita e, poco prima di morire, ne fece dono al figlio Paul. Quest’ultimo ebbe massima cura della straordinaria eredità ricevuta dal padre, tanto che nel 1911 si premurò di farla restaurare da un artigiano perché i capelli rimanessero perfettamente conservati nella piccola teca. Ma è alla morte di Paul, nel 1934, che si perdono le tracce del medaglione e, con lui, della famiglia Hiller.
Sappiamo che Hiller era di origine ebrea. Nei primi anni Trenta del ‘900, scrittori, pittori e musicisti furono i primi ebrei a lasciare la Germania per fuggire alla furia nazista. Con grande probabilità la famiglia Hiller, come le altre famiglie di artisti ebrei, fu costretta a rifugiarsi in Danimarca poiché è proprio in questo paese che, nel 1943, il medaglione ricomparve nelle mani di Kay Alexander Fremming, un medico di Gilleleje. L’ipotesi più plausibile è che il dott. Fremming, che molto si adoperò per accogliere e far espatriare i profughi ebrei verso la vicina e neutrale Norvegia, possa aver ricevuto il medaglione in dono da un profugo come gesto di riconoscenza.
La reliquia passò poi nelle mani di Michele, figlia adottiva del dott. Fremming. Nel 1994, compreso il valore del cimelio e pressata dalle difficoltà economiche, Michele fu costretta a separarsene e lo affidò a Sotheby’s perché anche questa ciocca di capelli fosse venduta all’asta. Se la aggiudicarono 4 membri della American Beethoven Society: il Dr. Alfredo Guevara (un urologo), Mr. Ira Brilliant (un facoltoso collezionista di cimeli beethoveniani), il Dr. Thomas Wendel e Mrs Caroline Crummey, per la cifra complessiva di 7.300 dollari.
Parte dei capelli della ciocca appartenuta a Ferdinand Hiller sono oggi custoditi presso il Beethoven Center di San Josè in California.
Altre ciocche, verosimilmente quelle fra le tante asportate durante la veglia funebre, sono ancora oggi conservate presso la Library of Congress di Washington, D.C., la University of Hartford in Connecticut, la British Library di Londra, la Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna e la Beethoven-Haus di Bonn.
I capelli di Beethoven e le scienze forensi
Al di là degli affascinanti risvolti storici, per chiunque si interessi di scienze forensi le ciocche dei capelli di Beethoven non possono non apparire come una straordinaria opportunità per approfondire le conoscenze sullo stato di salute del compositore.
In verità gli acquirenti della ciocca Hiller non parteciparono all’asta con questo intento. Per loro la ciocca di capelli rappresentava un prestigioso cimelio del loro idolo da portare negli Stati Uniti e da aggiungere ai tanti già acquisiti. Fu solo quando il medaglione giunse nelle loro mani che ne compresero il reale valore storico. Dopo lunga e ponderata valutazione decisero che la ciocca sarebbe stata suddivisa proporzionalmente al contributo versato per l’acquisto. Il 73 % dei capelli sarebbe stato destinato al Beethoven Center e preservato per indagini future, mentre la restante porzione sarebbe rimasta nelle disponibilità del dott. Guevara. Quest’ultimo decise da subito di intraprendere la strada della ricerca scientifica e di formare un team di esperti forensi – i migliori esperti forensi! – per verificare lo stato del campione e valutare le possibili indagini concretamente realizzabili. L’identificazione degli esperti richiese diversi mesi.
Nel dicembre 1994, alla presenza di un patologo forense, il dott. Richard Froede e di un antropologo forense, il dott. Walter Birkby, la teca fu aperta e furono contati ben 582 capelli. Alcuni di essi esibirono i follicoli piliferi rassicurando così gli esperti sulla possibilità di eseguire la ricerca del DNA. Secondo gli accordi 422 capelli andarono al Beethoven Center e 160 al dott. Guevara. Di questi ultimi, 20 capelli furono inizialmente inviati per le indagini tossicologiche al dott. Werner Baumgartner, l’esperto che qualche anno prima aveva dimostrato la presenza di morfina nei capelli del poeta John Keats. Ma in questo caso, contrariamente alle attese, le analisi non rivelarono alcuna traccia di morfina. Dunque, per quanto gravemente malato e sicuramente preda di dolori fortissimi, negli ultimi mesi della sua vita Beethoven aveva respinto la palliazione per mantenere la lucidità e con essa la possibilità di immaginare nuovi progetti musicali futuri fino alla fine dei suoi giorni.
Le indagini furono proseguite dal Dott. William Walsh dell’Health Research Medical Center di Naperville, noto per aver esaminato i capelli di Charles Manson e di molti altri criminali americani. L’esame di Walsh dimostrò che, nonostante il tempo, i capelli avevano preservato integra la loro struttura e l’eventuale presenza di metalli avrebbe potuto essere efficacemente indagata nei termini di una effettiva assunzione in vita, senza il dubbio di contaminazioni post-mortem. Fu quindi il dott. Walter McCrone, del McCrone Research Institute di Chicago, lo stesso ad aver studiato i capelli di Napoleone e la Sacra Sindone, ad effettuare questa ulteriore indagine.
Ma anche in questo caso fu un risultato negativo a stupire: l’assenza di mercurio. Il mercurio rappresentava nell’800 il principale medicamento per la sifilide e l’indagine valse ad escludere che i noti problemi di salute di Beethoven fossero da ricondurre a questa patologia, così come da molti ipotizzato.
Tuttavia un risultato positivo ci fu: i capelli di Beethoven documentarono un contenuto di piombo 42 volte superiore rispetto ai controlli. Ma allora Beethoven morì per intossicazione da piombo ed è al piombo che sono da ricondurre la sordità e tutte le altre affezioni che lo tormentarono lungo tutta la sua vita?
La soluzione dell’enigma
Dal 1995, anno in cui i risultati delle ricerche sui capelli di Beethoven vennero resi pubblici, questa domanda continua a tormentare la mente degli appassionati ma, ad oggi senza una esaustiva risposta.
Mentre alcuni autori ritengono che Beethoven assunse cronicamente piombo per buona parte della sua parte – e ciò renderebbe ragione della sordità (completa già nel 1817) e di molti altri sintomi riconducibili al saturnismo, compresi gli scatti d’ira e il comportamento bizzarro -, altri propendono per una intossicazione acuta riferibile alle terapie praticate al compositore prima della morte. (C. Reiter, 2007).
Queste posizioni sono state oggetto di una critica serrata. Oltre a richiamare la comune presenza del piombo in molti oggetti di uso quotidiano (piatti, bicchieri ecc.) e pure nel vino – come noto non disdegnato da Beethoven – diversi autori sottolineano la rilevanza dei riscontri autoptici che, oggettivamente e senza la necessità di tirare in ballo il piombo, documentano un quadro clinico idoneo a giustificare i sintomi manifestati da Beethoven lungo buona parte della sua esistenza e a chiarire la causa della sua morte. (J. Eisinger 2008, Fellin 2019).
L’autopsia – forse eseguita in risposta alle volontà espresse da Beethoven nel suo Testamento di Heiligenstadt in cui chiedeva che fosse fatta luce sui motivi della sua salute tanto precaria – fu praticata dal dott. Johann Wagner all’interno dell’appartamento del compositore. Al fianco di Wagner il giovane assistente Karl von Rokitansky, destinato ad essere uno dei fondatori della moderna Anatomia Patologica (questa fu per lui la prima di 59.786 autopsie).
I riscontri autoptici furono dettagliatamente descritti in un testo redatto in latino rimasto irreperibile per molti anni. E’ solo del 1970 il suo ritrovamento nel Museo di Anatomia Patologica di Vienna. Dell’originale referto sono anche disponibili le traduzione in tedesco (Ignatz von Seyfried, Beethovens Studien im Generalbass, Wien, 1853) e in inglese (PJ Davies 2017).
Il quadro autoptico descritto documenta un organismo prostrato da una cirrosi epatica macronodulare scompensata (ascite, ipertensione portale, splenomegalia) e da una peritonite batterica, contestualmente a pancreatite cronica, calcolosi della colecisti, pielonefrite cronica, nefrolitiasi, idropionefrosi (E.J. Pauwels 2021, Fellin 2019).
In definitiva i capelli di Beethoven hanno certo riaperto la partita ma l’enigma è lontano dall’essere risolto.
E a ben vedere, al di là dei numerosi elementi che le scienze forensi sono state in grado di identificare e che verosimilmente saranno in grado di rintracciare in futuro, sembra proprio che non vi possa essere una spiegazione universalmente accettabile per spiegare quale malattia possa aver consentito, suo malgrado, l’espressione di una tale genialità creativa e quale causa di morte abbia sfidato l’immortalità di Beethoven.
Per chi desideri approfondire con maggior dettaglio la cronaca delle avventurose vicende della “ciocca Hiller”, consigliamo la lettura del libro “Beethoven’s hair: an extraordinary historical odyssey and a scientific mystery solved” di Russel Martin e la visione del documentario ad esso ispirato del regista Larry Weinstein.
Con questo articolo si chiude – per il momento – la serie dedicata ai grandi compositori e alle loro vicissitudini di interesse forense. Gli articoli che avete letto, arricchiti di maggiori dettagli e curiosità, saranno racchiusi in un e-book che presto sarà a disposizione dei soci SIMLA. A breve prenderà avvio una nuova serie di articoli dedicati alla riscoperta dei personaggi e degli eventi che hanno fatto la storia delle scienze forensi e della criminalistica.
Buona lettura!
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